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«Sull’uso della tecnologia a scuola è necessario un dibattito pubblico»

Dai genitori della scuola cattolica l’invito a mettere a tema le ricadute sulla vita dei nostri ragazzi

Un tema fondamentale per il futuro si aggira per le scuole del nostro paese: la crescita dell’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale. Verrebbe da parafrasare le parole del filosofo tedesco Karl Marx, ascoltando le preoccupazioni di tanti genitori nei dibattiti sempre molto partecipati sul tema. Chiunque ne abbia fatto esperienza sa che la questione interroga da vicino chi ha figli in età scolare e l’appello rivolto sia alla scienza che alla politica è che venga messa in agenda una regolamentazione pubblica dell’accesso da parte dei minori a certi strumenti tecnologici. Il tema è indubbiamente complesso e pone problemi di ordine etico di non facile momento. Ma l’impressione è che se è vero che l’AI, come viene indicata dall’acronimo anglosassone, rappresenta l’ultima frontiera degli algoritmi applicati alla tecnologia, non c’è dubbio che essa condensi in sé i timori maturati rispetto al più ampio tema dell’impatto che i dispositivi digitali hanno sulle nostre vite e, in particolare, su quella dei minori. Le evidenze scientifiche sugli effetti neurologici e cognitivi determinati da un uso massiccio dei social network, ad esempio, sono ormai molteplici e quasi sempre poco rassicuranti. D’altronde, è risaputo che certe applicazioni a cui abbiamo fatto l’abitudine - like, retweet, scrolling, spunte ecc. - sono state studiate scientificamente per raddoppiare la permanenza online e, soprattutto, per creare i percorsi della dopamina indotti dal meccanismo di ricompensa proprio di questi stimoli. I meccanismi sono quindi noti per chi li progetta con lo scopo di catturare e vendere la nostra attenzione. Manca una risposta altrettanto scientifica che oltre a evidenziare gli effetti per la salute e il benessere psico-emotivo suggerisca protocolli condivisi per arginarli. A stabilire dei veri e propri nessi causa- effetto tra la diffusione dello smartphone e l’aumento di alcuni disagi giovanili ci ha provato di recente lo psicologo sociale Jonathan Haidt con un libro dal titolo La generazione ansiosa edito in Italia da Rizzoli. Basandosi su una serie di dati e indagini suffragate dalle neuroscienze, l’autore evidenzia alcuni scenari allarmanti da tenere in considerazione tra i ragazzi della cosiddetta Generazione Z. Accompagnate dall’introduzione di funzioni come il like e il retweet, le novità introdotte da Facebook, Instagram e altri social network hanno reso lo smartphone sempre più capace di monopolizzare l’attenzione degli utenti, al contempo frammentandola mediante una miriade di stimoli e contenuti che rendono impossibile di fatto la concentrazione. Man mano sono andati diminuendo i testi a favore di foto e video brevi arrivando alla prevalente diffusione odierna di Tik Tok tra i giovanissimi. Con la possibilità di veicolare su un solo dispositivo anche film e videogiochi il tempo del gioco libero e all’aperto si è progressivamente ridotto, facendo venire meno quello spazio sociale in cui, soprattutto dai nove ai quindici anni, il cervello è disposto ad acquisire una serie di capacità relazionali, dalla gestione dei conflitti alla creazione di relazioni individuali e di gruppo. I danni personali sono ovviamente ingenti. Quelli sociali nel medio termine potrebbero esserlo ancora di più. Invocare un dibattito pubblico ed una legislazione ad hoc non è allora un mero atteggiamento antimodernista o vetero luddista, quanto piuttosto un grido di allarme che deve interrogare chi è responsabile dell’educazione dei ragazzi a qualsiasi livello. Di recente, stando alla sfera politica si possono registrare, a livello globale, la pubblicazione del Global Education Monitoring Report 2023 dell’Unesco, con cui si invitavano i vari governi nazionali a legiferare su un uso regolamentato della tecnologia a scuola; a livello nazionale, invece, abbiamo accolto con favore il recente divieto all’uso del cellulare durante le ore di lezione disposto dal Ministro Valditara. Lo stesso Ministro ha aperto all’uso dell’intelligenza artificiale nella didattica a studenti con problemi dell’apprendimento. Siamo nel campo della sperimentazione e dell’assoluta novità ma questa duplice decisione ha il merito di dimostrare che, pur senza rifiutare integralmente la tecnologia, essa possa essere limitata e regolamentata, usarla e non esserne usati: nella scuola e in ogni ambito della vita.
Umberto Palaia
Presidente Nazionale


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Fonte:Avvenire