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I genitori della scuola interrogati dalla sfida delle nuove “carriere alias”

«Non dobbiamo sentirci esonerati da riflessioni profonde anche su queste tematiche»

Vorremmo dedicare l’appuntamento di questa settimana ad una riflessione, breve per motivi di spazio e per questo non esaustiva, su una decisione che molti istituiti scolastici hanno introdotto nei loro regolamenti e che secondo noi merita un’attenta riflessione: la “carriera alias”.

Con l’espressione “carriera alias” s’intende, riferita agli istituti scolastici di ogni ordine e grado, una procedura amministrativa, che si concretizza nell’adozione di uno specifico regolamento d’istituto, che prevede la possibilità di assegnare allo studente maggiorenne, o al familiare esercente la potestà genitoriale in caso di studente minorenne, e a richiesta della persona interessata una “identità alias”, cioè un’identità diversa da quella assegnata alla nascita. Provvisoria, transitoria e non consolidabile, utilizzabile soltanto all’interno dell’istituto scolastico di appartenenza del richiedente e nei limiti di un così detto “accordo confidenziale” sottoscritto fra la scuola suddetta e l’interessato, senza alcuna validità giuridica.

Essa viene giustificata, di regola, con «la finalità di promuovere il riconoscimento dei diritti della persona in transizione di genere nell’ambito dell’istituzione scolastica, al fine di eliminare situazioni di disagio e forme di discriminazioni legate al sesso, all’orientamento sessuale e all’identità di genere». Infatti, lo scopo della procedura sarebbe quindi quello di prevenire e contrastare fenomeni di bullismo nei confronti di studenti con disforia di genere. Secondo i dati disponibili riferiti al mese di aprile 2024, sono 348 le scuole che prevedono nel loro regolamento la “carriera alias”.

Il punto di partenza per formulare questa richiesta è quella che viene definita “identità di genere”: secondo questa teoria la nostra identità sessuale non si fonderebbe sull’essere nati maschi o femmine, cioè sul nostro sesso biologico, bensì su come ciascuno di noi percepisce se stesso, su come noi “ci sentiamo”, sotto questo profilo, in un determinato momento o periodo della nostra vita.

Il nostro “genere”, pertanto, non sarebbe più identificato dal nostro sesso biologico - maschile o femminile -, ma esclusivamente dall’auto percezione, anche variabile nel tempo, che noi abbiamo di noi stessi. Come conseguenza di questo pensiero, ci sarebbe un ampio numero di “identità di genere”, molte delle quali caratterizzate dalla “fluidità” (agender, bigender, pangender, transgender, ecc.), cioè o dalla compresenza nella stessa persona di più “identità di genere” o dal passaggio, nel tempo, da una “identità di genere” ad un’altra.

Pur non mettendo in dubbio la buona fede che può aver mosso i sostenitori della “carriera alias” e dei dirigenti che l’hanno attivata, è evidente che si tratta di una procedura che non è idonea al raggiungimento dello scopo.

Inoltre tale procedimento è persino pregiudizievole in quanto può rafforzare negli adolescenti e preadolescenti (di per se vulnerabili ed insicuri per i cambiamenti fisici dovuti all’età dello sviluppo) il convincimento che la soluzione alla propria eventuale sofferenza sia la transizione di genere. Infatti molti studi scientifici indicano che più del 90% dei giovani con disforia di genere superano spontaneamente il disagio esordito dall’adolescenza senza procedure transizionali.

Per quanto riguarda poi l’aspetto legislativo, allo stato attuale questa procedura amministrativa, nell’ambito della scuola pubblica italiana, statale e paritaria, non è prevista né ha, pertanto, alcun fondamento giuridico positivo né in norme dello Stato, approvate cioè dal Parlamento, né in regolamenti governativi o ministeriali.

Come genitori siamo convinti che non dobbiamo sentirci esonerati da riflessioni profonde anche su questi temi, non contrapposizioni di tipo ideologico, perché al centro dell’attenzione sono anche i nostri figli. Siamo anche convinti che il nostro compito e quello delle istituzioni scolastiche e di tutte le agenzie educative, è quello di accompagnare i ragazzi nella loro crescita, ascoltando esigenze, timori, aspettative, individuando soluzioni in grado di consentire una crescita sana ed equilibrata. Sostenere l’adolescente non significa assecondare le sue richieste ma accompagnarlo nella sua crescita personale in un dialogo e confronto continui.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Fonte:Avvenire