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Un’altra Pasqua “faticosa”. Aspettando la “rigenerazione” che parte dalla scuola

L’arcivescovo Castellucci indica il percorso da seguire per uscire davvero rinnovati da questa emergenza che dura da un anno

Dopo Pasqua molti ragazzi torneranno a scuola e dovrebbero essere approvati i decreti attuativi per “l’assegno unico”. Chissà che suono avrà quest’anno la parola “speranza”, la promessa racchiusa nella Pasqua, che per i credenti è la vittoria della vita sulla morte.

Un anno fa si stava indebolendo l’hashtag #andràtuttobene; slogan apparso sempre meno credibile, di fronte all'aumento continuo dei morti a causa del Covid-19, che già a Pasqua 2020 erano circa 20mila. Ora che sono quasi 100mila in più, nessuno osa riproporre quell'auspicio: suonerebbe beffardo e quasi offensivo verso i milioni di contagiati, quelli che non ce l’hanno fatta e le loro famiglie. Si è dimostrata una speranza illusoria, vana e campata per aria. Il virus ha alzato il velo su una realtà che ci avvolge sempre, ma della quale spesso riusciamo a dimenticarci, distratti e impegnati nelle nostre attività. La morte, la malattia, il disagio psichico, la paura, il dubbio, la precarietà, sono nostre compagne da sempre. Solo che, talvolta, fingiamo di non accorgercene. Il mondo è un “villaggio globale”, la cui salute ora dipende, paradossalmente, anche dalla “distanza” che riusciamo a tenere con i vicini. Ci è imposto di purificare le relazioni prossime, per guadagnare il senso profondo delle relazioni universali.

Come ci ha raccontato l’arcivescovo Erio Castellucci, Presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede, «abbiamo vissuto un anno all'insegna dell’essenzialità imparando a distinguere ciò che davvero conta nella vita, come la gamma di relazioni autentiche che costituiscono il tessuto bello della nostra esistenza. A partire da quella con Dio, che dà spessore a tutte le altre; per comprendere poi le relazioni umane vere, che si incidono nel cuore. Con questa strana miscela di distanziamento e di desiderio di relazione, di isolamento e bisogno dell’altro, abbiamo trascorso questi mesi. Da questa crisi possiamo uscire rinnovati, senza cancellare o censurare le grandi sofferenze che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, senza dimenticare la fatica di chi ha dovuto affrontare i lutti, di chi ha vissuto nella apprensione per la lontananza dei propri cari, di chi sta vivendo situazioni difficili dal punto di vista economico, sociale, educativo; occorre adesso che dirigiamo i nostri occhi verso la Galilea. Che suono può avere, allora, in questa nuova Pasqua, la parola “speranza”? Come evitare un’altra illusione? Possiamo abbinarla semplicemente all’auspicio della guarigione e della “immunità di gregge”? Certo, tutti speriamo che nei prossimi mesi la pandemia si arresti e la vita sociale ed economica riparta; speriamo che le profonde ferite di chi è stato colpito dal lutto e dalla malattia, dall'angoscia e dalla povertà, si possano a poco a poco curare e rimarginare; speriamo che questa esperienza ci insegni ad essere più attenti all'essenziale e meno al superfluo, più appassionati alle relazioni e meno alle polemiche. Ma la speranza pasquale non è solo “ottimismo”; “rilancio” o “progetto”. È “rigenerazione”, cioè “nuova nascita”. Dobbiamo prendere atto che Gesù non ha aggirato il sepolcro, ma vi ha dimorato. Noi non possiamo fondare la nostra speranza sulla “circonvallazione” della tomba; è un passaggio inevitabile. La speranza pasquale non può avere il suono dell’illusione, tanto più oggi che siamo tutti disincantati e provati. Insieme a molte vite, sono venuti meno anche i deliri di onnipotenza e i miraggi di facile e duraturo benessere. Dalle loro ceneri – prosegue l’arcivescovo – deve rinascere qualcosa di nuovo. Prendendo atto di ciò che è morto; dobbiamo ripartire, non pensando di riprendere a vivere come prima - con tante ingiustizie, superficialità e risentimenti - ma lasciandoci purificare dall'esperienza del sepolcro. Per i cristiani, l’ultima parola non è morte, ma vita che durerà per sempre e sarà piena nella misura dell’amore che avremo vissuto nell'esistenza terrena». Con queste parole, l’Agesc vuole augurare a tutti: genitori, nonni, ragazzi, dirigenti, insegnanti, collaboratori scolastici una Buona Pasqua nella speranza che famiglia e Scuola (tutta) possano tornare a contare nella rigenerazione dell’intera società.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Fonte:Avvenire