La scuola spenta dallo spread
La scuola italiana soffre del difetto di tutto il resto dell’amministrazione pubblica. E gli interventi delGoverno su questo fronte non sono stati positivi
Nella disinformazione e nel disinteresse generali, la barca del sistema scolastico viene lasciata andare alla deriva, e anzi viene fatta retrocedere rispetto a quei piccoli passi avanti compiuti con i governi precedenti. Forse pochi ricordano che una delle cinque stelle dell’omonimo movimento riguardava la scuola, il settore più importante per un Paese che volesse investire sul suo futuro. Non pare però che quella stella sia destinata finalmente a brillare.
La scuola italiana soffre del difetto di tutto il resto dell’amministrazione pubblica del nostro Paese,
burocratizzata, inefficiente e alla fine soffocante. Ma nonostante il forte centralismo, il panorama non è omogeneo e vi si trovano grandi differenze regionali (il Nord al di sopra
della media europea, il Sud sotto livelli minimi) e di classe
(gli abbandoni avvengono in prevalenza tra i più poveri).
Questo dovrebbe suggerire una gestione amministrativa
differenziata (pur mantenendo il livello essenziale del
servizio e quindi superando il finanziamento proporzionato
al Pil), oltre che monitorata nella sua efficacia ed efficienza.
Ma c’è di più. Gli studi mostrano che l’autonomia in termini
di budget, di scelta degli insegnanti e di programmazione,
migliorano la qualità dell’offerta formativa. La legge
denominata “Buona Scuola” aveva cominciato a muoversi in
questo senso favorendo, sia pur in misura minima, le
assunzioni dirette da parte dei presidi, la premialità basata
sul merito degli insegnanti e un maggiore potere gestionale
dei presidi. Il primo atto dell’attuale Governo in tema di
scuola è stato invece l’eliminazione della chiamata diretta
degli insegnanti, una formula che doveva essere migliorata,
non abolita.
Non solo. I duecento milioni assegnati per la premialità sono
stati redistribuiti a poggia tra tutti i professori,
indipendentemente dalla qualità e quantità del lavoro svolto.
E non si possono dimenticare i giovani insegnanti. Davanti
alle inevitabili complicazioni del sistema di formazione
iniziale e di reclutamento degli insegnanti si è semplicemente
pensato di abolire o ridurre il percorso di formazione postlaurea.
In tutto il mondo la scuola è concepita in stretta connessione
con il mondo del lavoro attraverso l’esperienza
dell’alternanza. In Italia le prime esperienze hanno mostrato
criticità, ma anche lusinghieri risultati, laddove i ragazzi
erano svegli e le aziende desiderose di introdurre i giovani al
mondo del lavoro. Senza nemmeno andare a valutare
l’efficacia di quanto realizzato dal punto di vista educativo e
didattico, è stato eliminato il 60% dei fondi destinati
all’alternanza. Perché? Perché è stata considerata a priori
nient’altro che uno strumento in mano alle aziende per avere
forza lavoro gratuita.
In questi anni si stava faticosamente cercando di introdurre
un sistema di valutazione di studenti e insegnanti attraverso
l’Invalsi. Per quanto sia stato dimostrato in ogni modo che
non si tratta di ranking arbitrari da imporre, ma di uno
strumento necessario per capire cosa e come va migliorato,
l’intenzione del Governo è eliminare del tutto le prove Invalsi
per poi eliminare lo stesso ente.
L’unico aspetto su cui si è messo un freno è il proposito del
M5S di cancellare i finanziamenti per le scuole
paritarie. Può essere stato lo zampino della Lega oppure
quello del buon senso, visto che allontanare le famiglie da
queste scuole (che, bene ricordarlo, rientrano nel sistema
pubblico a tutti gli effetti) comporterebbe un pesante
aggravio di costi per le scuole statali.
Tante logiche malate continuano a persistere nella scuola,
spesso appoggiate da quella frangia di insegnanti più attenti
a difendere i loro privilegi che a favorire ciò che può
migliorare la vita della scuola. E del destino dei ragazzi. Gli
stessi insegnanti che hanno trovato in questi mesi una
sponda coscientemente attiva nella difesa reazionaria del
peggio e del nulla. Tutto perché cresca il peggiore degli
spread: quello educativo.
ilsussidiario.net del 30.11.2018 - Giorgio Vittadini