La scuola che condivide il dolore

Negli istituti paritari della diocesi di Bergamo, tanti studenti e insegnanti hanno perso un parente Lezioni e confronto aperto tra professori e ragazzi. Il rettore del S.Alessandro: «Ascoltiamo e consoliamo»
La scuola che condivide il dolore

Sulla linea del fronte la scuola non arretra. «Sono state le stesse famiglie a chiederci di tenere duro, perché per loro siamo diventati un punto di riferimento», sottolinea il rettore Nelle classi virtuali si continua a fare lezione, anche se quasi tutti i giorni qualcuno subisce un lutto. «Noi cerchiamo di trasformare il dolore in speranza e generatività», dice la preside dei licei

E' faticoso e anche doloroso continuare a fare scuola sulla linea del fronte. Oltre alle difficoltà della distanza, di un rapporto tra docenti, alunni e famiglie necessariamente mediato dalla tecnologia, continuare a fare scuola a Bergamo, il nuovo focolaio dell’epidemia, significa incontrare tutti i giorni il lutto e la morte. «Ti colleghi alla mattina sapendo già che qualcuno, o tra gli alunni o tra gli insegnanti, nella notte ha perso un parente, un amico», racconta Annamaria Gabbiadini, preside dei Licei delle scuole dell’Opera Sant’Alessandro, che fanno riferimento alla diocesi di Bergamo. Nate dall’esperienza del Collegio Sant’Alessandro, fondato nel 1846, le otto scuole hanno attualmente 1.800 alunni, dall’asilo nido ai sei indirizzi liceali. Il rettore è don Luciano Manenti, che ha perso il papà nei primissimi giorni dell’emergenza coronavirus ed è stato colpito lui stesso. Dopo la guarigione e la quarantena, ha voluto subito tornare al lavoro per stare vicino alla comunità scolastica così duramente provata. «Con le famiglie ho avviato un’intensa corrispondenza – dice il rettore –. Tanti genitori dei nostri alunni sono medici e infermieri impegnati in prima linea, che chiedono alla scuola di dare ai figli quell’abbraccio che a loro al momento è negato. Il dolore è acuito dall’impossibilità di salutare i propri cari con il funerale e così si aspettano da noi, dalla scuola, una parola di conforto. Nei giorni della convalescenza – racconta don Luciano – ho scritto delle fiabe per spiegare ai nostri alunni più piccoli la tragedia che ha colpito la nostra terra. Con mia grande sorpresa, ho saputo che sono circolate anche tra i ragazzi più grandi. Segno che c’è tanto bisogno di “luoghi”, anche se soltanto virtuali, dove incontrarsi e condividere il dolore. Come i gruppi WhatsApp, attraverso cui alunni e insegnanti si incoraggiano a vicenda».

Oltre alle normali lezioni online, nella classe virtuale avviene uno scambio quotidiano di sentimenti ed emozioni che «aiutano a portare insieme il dolore», sottolinea la preside Gabbiadini. Che racconta un episodio accaduto la scorsa settimana.

«Per un paio di giorni – riprende la dirigente – una studentessa non si è collegata alla classe vir-È tuale. Così, l’ho chiamata per chiederle se ci fossero dei problemi di connessione. Mi ha detto che nel giro di pochi giorni aveva perso entrambi i nonni e che era da sola nella propria cameretta, perché i genitori lavorano entrambi all’ospedale, senza nessuno con cui parlare. La mattina dopo, tutta la classe si è collegata con lei e la lezione è diventata un vero momento di condivisione del dolore. Un dolore che, però, noi vogliamo non resti fine a se stesso, ma si trasformi in speranza e generatività. Anche questo è il compito della scuola, ora a Bergamo. Perché noi siamo una comunità educante che non molla di un millimetro».

Lo sforzo della scuola è ben compreso dalle famiglie. Gli stessi genitori, fin dai primissimi giorni dell’emergenza, hanno chiesto all’istituto di continuare, di andare avanti con le lezioni. Mentre tutto intorno precipitava, agli di padri e madri la scuola rappresentava un punto di riferimento, una roccia per cercare di dare un senso al grande dolore che sta ancora attraversando questo territorio. «I nostri ragazzi hanno tanto bisogno di essere rassicurati e noi ci siamo – conclude la preside dei licei –. E cerchiamo di comunicare le cose belle che pure accadono. Come l’Ospedale da campo degli Alpini, che sta sorgendo su un’area dove prima non c’era nulla. Un grande segno di speranza per la nostra comunità».

Sulla «rete di condivisione» creata dalla scuola, insiste anche Emilia Denti, dirigente dell’Istituto “Bambino Gesù”, che comprende gli alunni più piccoli, dal nido alle scuole medie. «Adesso – dice – il nostro compito è anche quello di ascoltare, consigliare e consolare. Le famiglie devono sapere che noi ci siamo, che la scuola va avanti, anche a distanza. I bambini non vedono l’ora di ritornare in classe e noi facciamo di tutto per riuscire ad “incontrarli” seppur virtualmente. Ai più piccoli abbiamo detto di piantare una lenticchia in un vaso, spiegando loro che l’attesa dei primi germogli è come il tempo che dobbiamo passare lontani. Ma con la certezza che la piantina spunterà. Che torneremo a scuola e che, alla fine, la vita e non il virus vincerà. Loro hanno capito. E ogni giorno innaffiano il seme».

Avvenire del 29 marzo 2020 - Paolo Ferrario