«Un bimbo non si prenota, si ama»

Furlan: non si può rendere etico e morale quello che non lo è attraverso una legge
«Un bimbo non si prenota, si ama»

«Si può parlare di 'dono' quando si fa nascere un neonato per l’esclusiva volontà di soddisfare un desiderio che naturalmente non potrebbe realizzarsi? Io penso di no»

Caro direttore, in questi giorni è tornato alla ribalta il tema della maternità surrogata e di una sua possibile regolamentazione. È una questione delicata ed importante che anche il sindacato non può non affrontare, sapendo sempre distinguere tra le legittime posizioni individuali dei nostri iscritti e la difesa di princìpi umanitari e morali, sanciti anche dalla nostra Costituzione.

L’utero in affitto è una cosa umanamente inaccettabile sia per le donne che non sono incubatrici ma madri, sia per i bambini. È solo il denaro che determina questo processo, come avviene in California, uno dei principali Stati surrogacy friendly negli Usa, dove i contratti sono scritti per proteggere chi commissiona un bambino, e non la madre o il nascituro. Una vera follia. Ecco perché abbiamo condiviso l’iniziativa di ieri dell’Associazione 'Se non ora quando- Libere': dobbiamo dire no allo sfruttamento della donna e alla riduzione del corpo femminile a puro 'strumento' e dei bambini a 'merce'. Operazioni che, purtroppo, sono sempre connesse alla pratica della maternità surrogata. Non esiste il sex work, un lavoro sessuale da regolamentare nel nostro Paese. Così come (e lo abbiamo detto più volte, sostenendo la campagna e le iniziative dell’Associazione Papa Giovanni XXIII) non accetteremo mai una prostituzione definitivamente legittimata e mercatizzata. Un bambino non si prenota, affitta o compra. Un bambino si ama, che è una cosa molto diversa. E non si può immaginare di rendere etico e morale quello che non lo è at- traverso una legge. Il grembo di una donna non è una provetta. Tra gestante e bambino che nascerà, pur se concepito con gameti 'estranei', si crea un legame psicologico e persino biologico davvero unico. Si può parlare di 'dono' quando si fa nascere un neonato per l’esclusiva volontà di soddisfare un desiderio che naturalmente non potrebbe realizzarsi? Io penso di no. È comprensibile l’aspirazione alla maternità o alla paternità. Ma un bambino non può essere regalato come un oggetto, né scelto, né acquistato, né è un diritto per nessuno, coppia etero od omosessuale o singolo che sia. Ha ragione Antonella Mariani che su Avvenire ha ricordato che un figlio è una persona per sé stessa, ha una sua individualità. Un figlio non può essere solo il realizzarsi a

ogni costo di un desiderio, per quanto tenace. Quello che si vuole regolamentare per legge, di fatto, è la separazione di un figlio da colei che l’ha portato in grembo. L’alienazione di una madre. La trasformazione di una donna in strumento di produzione e il neonato in prodotto. L’adozione non è una scelta equivalente, anzi bisognerebbe rendere più semplice e sicuri questo processo, per offrire amore a chi ne ha più bisogno: i bambini. Così come dovremmo fare di più per sostenere la maternità, favorire le assunzioni di donne e soprattutto una migliore conciliazione tra famiglia e lavoro, questioni importanti sulle quali la Cisl è impegnata da tempo, per colmare i ritardi del nostro Paese rispetto ad altre realtà europee. Sappiamo bene che in Italia l’argine della legge 40 c’è ancora e resta importantissimo, così come quello che impedisce il commercio di seme e ovociti. Tuttavia sappiamo altrettanto bene che entrambi quegli argini vengono spesso aggirati con viaggi all’estero o mascherando i prezzi pagati per l’utero in affitto da 'rimborsi'. Tutto questo è anche per noi inaccettabile. L’utero in affitto è vietato, ma chi lo usa per farsi fare figli, sta riuscendo a realizzare per via giudiziaria e amministrativa i propri progetti e a violare senza conseguenze la legge vigente in Italia. Ecco perché vogliamo rilanciare la proposta lanciata più volte in questi anni dalle colonne di Avvenire: bisognerebbe portare avanti una battaglia a livello mondiale, per uscire da questa disumanizzante deriva. Serve un fronte ampio come fu quello contro la schiavitù, o come quello che oggi è in campo contro la pena di morte. Un fronte davvero plurale, che unisca credenti e laici, gruppi intellettuali, realtà associative, singoli cittadini e cittadine, sindacalisti, politici, giornalisti, che via via con sempre maggiore chiarezza hanno compreso l’importanza della questione, che non è ideologica, ma fondata sulla difesa della persona e sul rispetto della dignità della donna e dei bambini.