IL “BISOGNO” DI RICORDARE
Si chiamava Enrico, Enrico Vanzini classe 1922, ed era uno dei deportati che a Dachau aveva il macabro compito di infilare nei forni crematori le povere membra dei “gasati” nell'inferno di quel campo. Li chiamavano Sonderkommando. Quando mi ha raccontato la sua storia la prima domanda è nata spontanea: perché a distanza di tanti anni aveva deciso di rompere il silenzio dentro il quale si era chiuso, perché solo ora parlava dell’orrore, della paura, dell’inferno del campo di concentramento di Dachau? “Perché i giovani non conoscono, sanno poco e soprattutto perché c’è ancora qualcuno che ha il coraggio di negare, nega quelle atrocità e così facendo sputa su quei morti”.
Parole durissime che ricordo, dopo anni, ancora oggi e che sono di monito a noi tutti, a tutti i genitori che sono i primi educatori e che hanno il dovere di esigere che a scuola, nelle nostre scuole, il far memoria di quella tragedia non venga meno.
Quando venne istituita il 1º novembre 2005 la Giornata della Memoria dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite si pensò al 27 gennaio perché in quella data, nel 1945 i soldati russi arrivarono ad Auschwitz e il mondo scoprì cosa era l’inferno che aveva inghiottito milioni di Ebrei. Contemporaneamente si spalancarono le porte sull'orrore che aveva inghiottito non solo gli ebrei ma anche gli zingari, i diversi, i fragili e tanti altri considerati “inferiori”.
Nei campi, in quei campi, c’erano anche tanti soldati italiani. Enrico era uno di loro, scampato alla fucilazione dopo l’8 settembre del 1943 e condotto lì dove l’orrore non conosce limiti.
Oggi a distanza di tanti anni nelle nostre scuole il 27 gennaio si moltiplicano i momenti organizzati per ricordare quella tragedia ed educare così alla convivenza tra diversi, all'accoglienza, al rifiuto dell’odio e del razzismo perché tra le pieghe di una società che minimizza o, peggio ancora “dimentica”, trova terreno fertile per rinascere la violenza dell’uomo sull'uomo, di chi si sente diverso e superiore sull'altro.
Vigilare e ricordare sono le azioni che non dobbiamo smettere di fare assieme a quella di far conoscere ai nostri figli la storia dei nostri padri solo così Enrico e con lui tanti uomini, donne, bambini continueranno a vivere e ad insegnarci a vivere.
Roberto Zoppi
Responsabile Ufficio Stampa Nazionale AGeSC