Un villaggio per ogni figlio: il piccolo Enea ci richiama alla responsabilità
La vicenda del bambino lasciato nella Culla della Vita di Milano, sollecita la politica su investimenti per la natalitàCi sono fatti che vengono riportati dalle cronache dei mezzi di informazione che andrebbero “presi con le pinze”, come si usa dire; fatti che dovrebbero essere innanzitutto meditati in un atteggiamento di silenzioso rispetto per chi della vicenda è il protagonista.
Il nostro pensiero, da genitori, va al dibattito nato immediatamente dopo la notizia dell’affidamento da parte di una madre del proprio figlio appena nato ad una struttura che da anni ha un servizio di accoglienza per situazioni particolari: la “Culla per la vita” della Clinica Mangiagalli, a Milano.
«È una decisione drammatica – ha dichiarato il direttore generale della struttura – ma la Culla consente di affidare il piccolo a una struttura dove gli sono garantite cure immediate e che preserva l’assoluto anonimato per i genitori».
Decisione terribile, aggiungiamo noi, che dice di una vita certamente difficile e di un atto d’amore estremo di una mamma che rinuncia al bene più grande, il proprio figlio, nella speranza che possa avere una vita dignitosa amato da una famiglia e da genitori che crede potranno dargli tutto quello di cui avrà bisogno. Quello che colpisce nel dibattito che si è alimentato sui media il giorno dopo la notizia, provocato (il virgolettato è d’obbligo) dal termine “mamma vera” usato in riferimento alla madre del piccolo Enea, è che pochi guardano al dato oggettivo che dice di una vita “accolta”, seppur faticosamente, nonostante tutto.
La mamma di Enea è sicuramente una madre che ha vissuto con sofferenza questa decisione ma consapevole della propria dolorosa scelta. Non un abbandono ma una scelta d’amore estremo a consegnare una vita nelle mani di qualcuno che potrà amarla e darle la possibilità di una vita piena. E questo, a nostro avviso, evidenzia ancora una volta la mancanza di politiche e investimenti efficaci a sostegno della famiglia, un supporto adeguato alle mamme e alle famiglie che non sono in grado da sole, di sostenere economicamente la crescita e il futuro di un bambino.
Per la nostra sensibilità di genitori e di associazione, che di genitori è formata, questo fatto ci porta a riflettere sulla sensibilità all’accoglienza che deve essere parte integrante del percorso educativo dei nostri ragazzi.
Un’accoglienza fatta di attenzione verso chi ci vive accanto e di condivisione di passaggi difficili e momenti di fragilità che oggi più che mai attraversano le vite di noi tutti.
La cosa ci viene spontanea perché nei nostri vari interventi abbiamo sempre parlato di «figli che ci appartengono», tutti, indistintamente. Un figlio deve essere considerato un «patrimonio» da tutta la società e soprattutto come genitori ci sentiamo di ribadire che ogni azione di promozione e tutela del ruolo educativo di genitori e scuola è fatta in questa ottica: ogni figlio è “nostro” figlio.
È quel famoso “villaggio” necessario per far crescere un figlio che dobbiamo continuare ad alimentare assumendoci la responsabilità, come comunità, di farci carico di ogni figlio. Quel Villaggio educante al quale ci richiama spesso papa Francesco e che è stato oggetto del Consiglio Nazionale della nostra associazione lo scorso anno a Firenze.
Forse la madre di Enea questo “villaggio” l’ha trovato in un luogo che ha ritenuto potesse essere di aiuto per la sua storia ed il suo piccolo; una madre forse incapace di gestire la situazione, magari spaventata all’idea di doversi rivelare o dover dare spiegazioni ha però trovato la strada per fidarsi e affidarsi.
L’accoglienza poi di una coppia, di una famiglia, che apre le sue porte a questa creatura dovrebbe farci considerare come in questo caso, e grazie a Dio in altri del genere, quello che poteva diventare un dramma nel dramma ha invece avuto una svolta positiva. Come abbiamo avuto modo di sottolineare anche recentemente, in occasione della festa del papà, la genitorialità è qualcosa che va ben oltre l’aspetto squisitamente procreativo, biologico: è qualcosa di più.
Ricordo lo sguardo di un caro amico, preside di istituto, il cui viso si illuminava mentre parlava delle difficoltà e problemi conseguenti all’adozione di un figlio. Quel sorriso era il segno più evidente di come l’amore sa trasformare la sofferenza senza cancellarla ma dandole significato. È ciò che ci auguriamo per Enea, per la sua mamma, per la famiglia che lo accoglierà, ed anche per ciascuno di noi quando siamo tentati di giudicare, di ragionare, piuttosto che di accogliere.
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Fonte:Avvenire