Un incontro non virtuale per «riprendere il filo» di un discorso interrotto dal Covid
La consegna del premio “Maria Luisa Dal Castello” diventa l’occasione per rilanciare l’impegno a favore della scuola« È splendido essere qui con tutti voi» sono le parole con cui la presidente provinciale dell’Agesc di Verona, Catia Zambon, ha presentato l’evento Agesc presso l’Auditorio del Palazzo della Gran Guardia “Premio Maria Luisa Dal Castello” intitolata “il sogno continua”. Maria Luisa Dal Castello è stata un dirigente Agesc, una stella che ha illuminato per decenni, con la sua passione, il suo impegno le scuole veronesi e che ora continua a brillare nel cuore dei suoi tantissimi amici ed estimatori (in platea era presente il figlio Filippo). Dal palco della Gran Guardia la presidentessa ha voluto esprimere la gioia del poter «ritrovarsi in presenza» dopo due anni perché «poter ricominciare e poter essere di nuovo insieme è una cosa meravigliosa. Noi nasciamo – prosegue Zambon – da una relazione e la relazione fa parte della nostra vita. L’educazione è relazione ed è proprio in questo caso che Agesc, l’associazione dei genitori delle scuole cattoliche, ha pensato di voler fare questa serata proprio per continuare questa storia di relazione di educazione. Il sogno continua è il titolo di questa serata e per l’Agesc è quello di poter rivedere i nostri ragazzi e le nostre famiglie per ricominciare una vita nuova di relazioni per poter stare in assieme finalmente in presenza». Ma tra i ricordi è stato presentato un video per Arturo Gabanizza, poeta-insegnante salesiano laico, un personaggio molto amato e conosciuto nella città scaligera, soprattutto dai giovani - divenuti adulti - che ha istruito con speranza e poesie. Il sindaco di Verona, Federico Sboarina, ha ringraziato gli insegnanti e il personale scolastico per l’energia e l’impegno che la scuola ha dimostrato. Ciò che è mancato è stato lo sport. Quello che per decenni ha salvato tanti giovani che stavano prendendo strade sbagliate. Gli effetti - ha sottolineato il primo cittadino - sono ben visibili nel disagio che hanno i giovani e spesso manifestato in modo improprio. Si è rotto un filo che va riannodato per continuare a sognare. Ecco perché è importante la formazione che dà la scuola soprattutto quella cattolica che deve trasmettere i valori fondamentali alla società, così come le radici cristiane e le tradizioni della propria terra patrimonio che deve essere tramandato e conosciuto».
Non sono mancati i riferimenti per i 700 anni di Dante con il professor Stefano Quaglia che ha condotto con la sua abilità di narratore la platea nel girone dei golosi dell’Inferno e in quello del Purgatorio. La gola intesa come avidità è stata centrale nelle analisi, in quanto dopo un digiuno così grande di relazioni si potrebbe correre il rischio di oltrepassare i confini. Ecco perché oggi più che mai tornano attuali le tre virtù: fede speranza e carità.
Dante - come racconta il vescovo della città scaligera, monsignor Giuseppe Zenti - è il grande sceneggiatore della nostra vita perché nella Divina Commedia, che è la più grande trilogia poetica, c’è tutta l’umanità.
«La bramosia – ha sottolineato il vescovo – la voluttà del potere, dell’avere, del piacere, segnati da superbia ed invidia e avarizia sono le tre braci che ardono e sono pronte ad esplodere, d’altronde la politica da sempre è stata in preda a questi vizi. L’ancora di “salvezza” sono le scuole cattoliche che devono aiutare a superare il predominio, le ideologie, per dare sviluppo ad un’educazione fondata sull’umiltà quella vera che è tutto dono di Dio. Noi, essendo “grazia sua” dobbiamo solo essere aiutati a sviluppare i nostri talenti. Non serve l’invidia ma la benevolenza e la capacità di aiutarsi reciprocamente».
Monsignor Zenti ha concluso ricordando un ultimo aspetto della Divina Commedia che è quello della libertà umana, il maggior dono di Dio.
«L’Inferno e il Purgatorio – ha ricordato – non nascono come punizioni e noi essendo uomini liberi facciamo le nostre scelte, perché ad ogni azione corrisponde una conseguenza».
Non torneremo più come prima e non dobbiamo neppure cercare di tornare come prima. Val la pena di creare un nuovo modo di relazionarci (quanto è importante stare insieme e quanto è doloroso esserne privati) per riprendere un cammino in modalità nuova, con forme più intelligenti ed equilibrate, senza il paradosso di essere dovunque e dappertutto perché la nostra avidità di presenza ci porta ad essere a distanza.
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Fonte:Avvenire