«Se chiudono le non statali crolla il Sistema nazionale di istruzione»

La chiusura per l’emergenza Covid sta mettendo in gravissima crisi molte famiglie, che non sono più in grado di versare le rette. Ma così non si va avanti
«Se chiudono le non statali crolla il Sistema nazionale di istruzione»

Moltissime famiglie sono drammaticamente preoccupate per il timore che le scuole paritarie non riaprano a settembre. Sono 12mila le scuole paritarie che svolgono un servizio pubblico, nelle quali lavorano circa 160mila tra docenti e non docenti frequentate da 866mila alunni, quasi il 10% della popolazione scolastica complessiva. Queste scuole, sottolinea l’Agesc, rischiano di non riaprire a settembre perché la loro esistenza dipende unicamente dal pagamento di rette che le famiglie in questo momento fanno fatica a pagare. Ma il governo Conte e il ministro dell’Istruzione, Lucia Azzolina, sembrano non accorgersene.

L’unica risposta è venuta dal sottosegretario all’Istruzione, Giuseppe De Cristofaro (Leu), il quale, nel ribadire che non esiste alcun pregiudizio nei confronti degli istituti paritari, si è limitato a fotografare la situazione attuale della scuola e quanto sia già stato cantierizzato per sostenerla. Un po’ poco per «scuole che la legge 62/2000 stabilisce appartenere al sistema di istruzione nazionale ». Se crollano le scuole paritarie, che come tutte le altre in questo momento stanno soffrendo le ricadute dell’emergenza Covid 19, crolla il Sistema scolastico nazionale.

Tante famiglie sono in grande difficoltà e oggi devono sostenere la scuola che hanno scelto per i loro figli se lo Stato non dà risposte concrete. Molti continuano a pagare le rette per sostenere la propria scuola ma serve un intervento straordinario che salvi il sistema scolastico e questo non lo può dare che il governo centrale perché molti genitori sono in cassa integrazione e non sanno se ritroveranno al lavoro.

Per la fascia 0-6 la stragrande maggioranza delle famiglie chiede legittimamente uno sconto o la sospensione delle rette. Le scuole, non essendoci le condizioni

per erogare un servizio a distanza, stanno valutando come andare incontro a queste richieste tenendo conto che sono molti i genitori che hanno perso o rischiano di perdere il lavoro. Continua a pagare le rette chi crede tanto nella scuola scelta per il bambino da volerla sostenere, a prescindere anche con sacrificio. Per la fascia 0-6 la necessità dunque è duplice: congelare il più possibile le uscite (costituite al 90 per cento dagli stipendi degli educatori) e disporre di un fondo ad hoc per aiutare chi a settembre, con l’auspicata ripartenza, non disporrà più delle risorse che aveva prima della chiusura del Paese. Nelle scuole dove la didattica a distanza è stata attivata e garantito il servizio educativo pur tra mille disagi, le famiglie intendono sostenere concretamente questo lavoro. D’altronde l’alternativa è la chiusura delle stesse scuole. Lo Stato contribuisce con 500 milioni annui (500 euro l’anno a studente) al sostegno alle paritarie , il resto se lo pagano le famiglie (indipendentemente dalle loro capacità di reddito). Nelle scuole di Stato il costo per alunno oscilla tra i 6mila e i 6.500 euro l’anno. Facile immaginare quanti miliardi in più dovrebbe stanziare per garantire l’istruzione a quei 900mila bambini e ragazzi che frequentano le scuole paritarie, se queste dovessero chiudere.

Condividiamo il grido di dolore dei Vescovi Italiani che affermano: «Dietro le parole, c’è il volto di centinaia di migliaia di alunni e di migliaia di dipendenti; c’è la ricchezza di un presidio educativo unico; ci sono i principi - centrali in democrazia - di libertà educativa e di sussidiarietà». Allo Stato non si chiedono privilegi né elemosina, ma di riconoscere il servizio pubblico che queste realtà assicurano.

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