Riscopriamo la gioia di «fare festa» per rinsaldare lo spirito della comunità
Dopo le polemiche sulla festa del papà, i genitori delle scuole cattoliche tornano alle origini di queste celebrazioni
Le polemiche dei giorni scorsi relative alla festa del papà ci inducono ad una riflessione come genitori, padri e madri. Una riflessione che parte dal concetto di “tempo” e di “festa”.
La gestione del tempo è una delle questioni più delicate e complesse, non solo dal punto di vista del lavoro e della organizzazione della vita, ma proprio sul piano antropologico. All’uomo tecnologico, stordito dalla narcosi digitale, sembra non essere chiara l’importanza della “scansione” ritmica del tempo. Il racconto della creazione nel libro della Genesi fonda in modo straordinario l’idea che la continuità del tempo va scandita. Perfino il Creatore, all’inizio del tempo, Lui che il tempo lo ha creato, non ha “fatto” tutto in un attimo, ma ha avuto bisogno di una sequenza di giorni, nell’ultimo dei quali ha deciso che vigesse il “silenzio”, delle parole e delle opere. Il Grande Compositore, meglio degli affannati manager del nostro tempo, aveva, al principio dei tempi, capito che le opere hanno bisogno di pausa, perché lo Spirito, quello che Lui aveva donato alla sua ultima prodigiosa creatura, potesse rigenerarsi nel riposo. Già gli antichi con questa visione saggiamente introdussero il concetto e la pratica della “festa”, che nelle tradizioni popolari è chiamata “sagra”, ovvero momento sacro destinato alla condivisione di gioioso riposo, senza dimenticare però il rapporto con quel Creatore che alle origini aveva dato l’esempio. E così nel libro di Neemia troviamo le radici antropologiche della festa, intesa come duplice pratica di rito e alimentazione collettiva: occasione per nutrire anima e corpo in modo paritario ed equilibrato: Gaudium Domini, fortitudo vestra: « La gioia del Signore è la vostra forza». Nessuna formula riunisce con tanto fulminea sintesi l’idea che per essere forti bisogna nutrirsi bene e che nel tempo della “festa” si dà fondamento umano e spirituale alla condivisione dell’esperienza civile e sociale.
In questa velocissima ricostruzione antropologico-storica, troviamo le motivazioni di tutte le “feste”. Non è quindi senza senso domandarsi quali occasioni oggi siano importanti per dare energia nell’immaginario collettivo a uno spirito di comunitaria condivisione. Già, perché, almeno nel nostro Primo Mondo, obeso e ricco, il cibo non è un problema e la festa ha perso molto della sua sacralità. Se prendiamo il calendario delle istituzioni internazionali scopriremo, che ogni giorno, come le chiese cristiane ricordano “Santi e Beati”, così le varie organizzazioni nazionali o internazionali promuovono una giornata particolare: dalle più celebri, come quella della Donna, della Memoria, del Ricordo o della Pace, ad altre meno note, come quella del maestro o del sonno o del tennis.
Fra queste proposte pare ce ne siano alcune che possono creare disagio, come la festa della Mamma, la festa del Papà, la festa dei Nonni.
Ebbene, a noi sembra che proprio in questi momenti, in questi contesti vada riscoperto il senso profondo che muove a “celebrare” le sensibilità e i valori di una comunità che si sforzi sempre di più di superare barriere, accogliere le diversità, gettare ponti e sguardi di comunione.
Da queste colonne proprio con quello spirito che anima la nostra visione cristiana e cattolica, costitutivamente aperta all’accoglienza perché fondata sull’amore, crediamo che sia necessario da parte di tutti uno spirito di rispetto e comprensione. I bambini sanno far festa con un cuore sereno e puro, sono un dono per tutti e tutti hanno il diritto di vivere e crescere imparando da adulti che sappiano essere educatori autorevoli con la testimonianza della loro esistenza. A Napoli dicono che i figli sono “pezzi di cuore”; recuperiamo dunque il cuore di padri e di madri adulti e sereni attraverso i nostri figli e lasciamo conflitti e contrasti per costruire alleanze.
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Fonte:Avvenire