«Rimettere al centro i giovani e la scuola, per fare ripartire davvero il Paese»
Ore 8.45 una bicicletta, con figlia caricata dietro e il più piccolo davanti, arriva a scuola: «Non ne potevamo più, per chi lavora in presenza è insostenibile seguire i figli a casa; solo le maestre hanno gli strumenti per gestire alcune situazioni difficili». Un altro (cinque anni) arriva accompagnato dal papà: «Aveva una gran voglia di tornare con i suoi compagni e anche noi genitori siamo riusciti a organizzarci solo grazie al supporto dei nonni». Il ritornello è sempre lo stesso: «I bimbi avevano bisogno di tornare in presenza, per ritrovare la propria routine. Ma anche le famiglie ormai stremate da questa situazione».
Ma cosa è successo in queste settimane? Assolutamente nulla. Dai Dpcm siamo passati ai decreti legge ma la confusione, quella, resta sempre uguale. Muta il Coronavirus, ma un protocollo nazionale adeguato non c’è: l’ultimo è quello del 6 agosto, quando di varianti del Covid non si parlava. In attesa che il comitato tecnico- scientifico lo aggiorni, alla Pubblica istruzione fanno sapere che bastano i protocolli regionali per garantire aperture in sicurezza. Ma questi sono, appunto, locali: e dunque diversi l’uno dall’altro. Dal distanziamento all’areazione ognuno va per conto suo per garantire una “scuola sicura”. Con il nodo dei trasporti da sciogliere. Negli asili e materne tutto è invariato, fino ai cinque anni infatti non si usa la mascherina e se c’è un caso di positività al virus si attiva il percorso della quarantena di 14 giorni con tampone alla fine del periodo. Nelle varie regioni le altre scuole come procedono? In Puglia la Regione ha disposto che decideranno le famiglie tra la didattica in presenza e quella a distanza. Il professore sarà in classe, gli studenti forse sì, forse no. In Emilia Romagna a determinare l’incertezza c’è l’eventualità che in qualche classe venga riscontrato un caso di positività: cosa succede? Il professore può continuare ad insegnare? L’ordinanza emanata l’altro giorno dalla Regione non entra nel dettaglio: si limita a notare che, in attesa dell’esito del tampone, il docente può recarsi al lavoro «senza avere contatti con la classe». C’è chi lo interpreta in modo ampio e chi invece restrittivamente. E che dire dell’Alto Adige? Un provvedimento della Provincia autonoma stabilisce che gli alunni che non aderiscono ai tamponi “fai da te” finiscono automaticamente in Dad. Ma il ministro dell’Istruzione, con una circolare, mette in guardia: «L’attuale quadro legislativo nazionale non prevede la possibilità di subordinare la fruizione in presenza dei servizi scolastici all’effettuazione obbligatoria di screening diagnostici». Quanto al Lazio, il referente scolastico si deve rivolgere alla Asl competente per stabilire il da farsi: dunque la discrezionalità regna sovrana. Come se non bastasse, si registrano manifestazioni di protesta in varie città italiane per chiedere che tutti gli studenti, indipendentemente dall’età, possano tornare a frequentare in presenza anche in zona rossa. A complicare la situazione si è aggiunto un attacco hacker alla piattaforma Axios, utilizzata dal 40% delle scuole italiane: i pirati informatici, dopo aver prelevato migliaia di files, avrebbero chiesto un riscatto in bitcoin. Insomma, nonostante gli sforzi che il Governo Draghi sta facendo per superare l’anarchia derivata da un sistema burocratico pubblico sempre più farraginoso, regna il caos. L’Agesc che da sempre ha chiesto la riapertura totale sostenendo che «le scuole sono sicurissime. In passato ci sono stati periodi con tanti focolai in quest’ambito, ma nessuno mai è nato nel contesto scolastico quanto in famiglia, tra gruppi di amici». Il vero problema è l’aspetto “esterno” alla scuola: ovvero i trasporti. Anche in questo caso i dubbi superano le certezze. Mandare a scuola i ragazzi delle secondarie di secondo grado che utilizzano per lo più i mezzi pubblici di trasporto, soprattutto nelle grandi città, non può far stare tranquilli dato l’enorme rischio contagio, rischio che ancora oggi è presente sui mezzi di trasporto.
Ma dietro ai cancelli gli alunni stanno giocando come se non fosse successo niente. Il gioco e la socializzazione, sono le chiavi di svolta (o di volta?) per la ripartenza. Occorre offrire ai ragazzi quelle competenze e quelle abilità che sono state maggiormente sacrificate durante l’isolamento.
«Le giovani generazioni – conclude l’Agesc – sono già state duramente colpite dalle misure di contrasto alla pandemia: oggi rimetterle al centro è il primo passo indispensabile per far ripartire l’intero Paese».
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Fonte:Avvenire