Riforma del Terzo settore: da Associazione di promozione a imprenditori sociali

L’economista Stefano Zamagni al Consiglio nazionale di Bologna, ha illustrato i pilastri della nuova legge, di cui si aspettano i decreti attuativi: «Il bene va fatto bene e il bene fatto male non sarà bene»
Riforma del Terzo settore: da Associazione di promozione a imprenditori sociali

Il 25 maggio 2016 il Parlamento ha approvato la legge delega sulla riforma del Terzo Settore. È la prima riforma organica di questo vitalissimo mondo dal dopoguerra ad oggi. Mancano i decreti attuativi e il Governo ha 12 mesi per emanarli (fine maggio). Due sono già pronti e ne rimangono tre da preparare.

Al Consiglio Nazionale di Bologna, Stefano Zamagni, uno dei più importanti teorici dell’economia civile, docente universitario e già presidente dell’Agenzia per il Terzo Settore, ha tenuto una relazione spiegando i tre pilastri della riforma. Il primo: il Terzo Settore ottiene finalmente cittadinanza giuridica nel nostro ordinamento. Il secondo è il passaggio dal sistema concessorio a quello del riconoscimento. Finisce quindi il regime di autorizzazione, o permesso, e l’autorità pubblica dovrà prendere atto della volontà dei soggetti di costituirsi come realtà del Terzo Settore e limitarsi ad esercitare il controllo (art. 2, c.1). È una novità fondamentale: chi chiede di fare il bene comune non deve chiedere un’autorizzazione. Il terzo pilastro chiama in causa la biodiversità economica. Finora il mercato doveva essere popolato soltanto da imprese for profit. Ora invece viene riconosciuta cittadinanza economica a soggetti che operano nel mercato con fini diversi da quello lucrativo. La riforma insomma incorpora meritoriamente alcuni marcatori di ibridazione, come la parziale distribuzione degli utili, l’ampliamento dei settori di operatività e modelli partecipativi di governance, contribuendo a consolidare un bacino, quanto mai necessario, di imprenditorialità sociale.

E le Aps - Associazioni di promozione sociale - come Agesc assumono queste caratteristiche. Sarà necessario però corrispondere all’autorità pubblica una Vis - Valutazione di impatto sociale - (art. 5) per la quale non sarà più la rendicontazione a testimoniare il risultato, bensì la valutazione di quanti soggetti hanno tratto beneficio dall’azione finanziata e qual è il cambiamento che il lavoro delle Aps ha prodotto. «Il bene va fatto bene – ha sottolineato Zamagni – e il bene fatto male non sarà bene. Occorre sviluppare una metrica che dimostri quale cambiamento l’Aps ha prodotto realmente, compatibile con le linee guida della riforma». Nel caso di Agesc il valore aggiunto è l’educazione, un bene in via di estinzione. «L’individualismo libertario, per il quale non si deve più educare ma fornire solo “allevamento” e nozioni – ha sottolineato Zamagni – sta insidiando pesantemente la funzione educativa della famiglia e della scuola. Basti pensare al caso recente dei genitori condannati a sei mesi di detenzione dopo essere stati denunciati dal figlio, un ragazzino che non voleva andare a catechismo per prepararsi alla Cresima».

La scuola cattolica ha invece una forte identità educativa che si oppone a questa nuova forma di relativismo collettivo, così come i genitori che la scelgono. Oltre questo, la legge prevede per la prima volta che la partecipazione ai bandi sia aperta agli enti di secondo livello come luoghi di consultazione permanente, e il Registro unico nazionale del Terzo settore.

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