«Natale: la Luce nel buio del mondo, che ci rende realmente persone libere»

Il senso vero delle giornate di festa che ci attendono e che il consumismo non deve offuscare
«Natale: la Luce nel buio del mondo, che ci rende realmente persone libere»

Cosa sarebbe il lungo e buio inverno senza la luce del Natale? Nel mese in cui si allungano le ore di tenebra e il freddo vorrebbe svuotare le strade, queste si illuminano a festa e scaldano il cuore di chi le percorre e torna a casa confortato dal tepore della speranza, della festa. Il Natale è una festa di luce perché, come ci ha detto l’evangelista Giovanni, mentre il Battista dava testimonianza alla luce «veniva nel mondo la Luce vera che illumina ogni uomo» (Gv 1, 1-18).

Il Natale è anche una festa di doni o come si dice oggi, con linguaggio meno aulico ma meno pregnante, di regali. E cosa sarebbe il Natale senza l’attesa e la preparazione dei regali per le persone care, in particolare per i più piccoli, per i bambini? Natale è la festa dei bambini perché è un bambino che viene nella miseria di una mangiatoia, inerme e vegliato dall’amore di una madre e di un padre, a mostrare il volto di Dio. Sempre il Prologo del quarto Vangelo: «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato». Dio, per noi cristiani, si rivela dunque con il volto e il corpicino di un neonato. Non di un re in abiti sfolgoranti e con la spada sguainata e non in un palazzo fortificato e sfarzoso, bensì in una stalla, alla mercé delle intemperie, esposto al mondo, con due umili bestie da soma e da lavoro a fargli da scudieri, a scaldarlo. Sarà questa visione a rapire Francesco d’Assisi e a spingerlo nella sua illuminata creatività a dar vita al primo presepe (il Natale è ancora tempo di presepe?), a voler narrare per immagini ai più miseri tra il popolo la rivelazione di Dio al mondo. Il Natale, pertanto, come tutto il Vangelo d’altronde, è la narrazione, l’annuncio all’uomo di un dono. Ma nel Gesù infante, che dal pagliericcio spalanca le braccia al mondo, al Cristo che le spalanca sulla croce, è cancellata qualsiasi traccia del dono fastoso, del dono fatto dai potenti agli umili, dai signori ai servi, della sparsio di residuali ricchezze ai poveri, come intuì il critico letterario e medico svizzero Jean Starobinski.

La logica del dono esisteva naturalmente prima del cristianesimo e del Natale ma era appunto per lo più elargizione del superfluo, che manteneva intatta la distanza tra donatore e donatario, senza aspettarsi nulla in cambio, nessuna reciprocità. Al contrario, il dono cristiano chiama al coinvolgimento personale, alla cura dell’altro spendendo direttamente sé stessi: dare da mangiare e da bere, vestire, ospitare il bisognoso, visitare il malato e il detenuto, in una relazione intima tra pari, fraterna. E Gesù nel Vangelo di Matteo aggiunge: «ciò che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli lo avete fatto a me» (MT 25, 31-46). Un Dio che viene nel mondo, nella Storia, ci chiama fratelli e ci insegna che si dona innanzitutto per entrare in relazione con l’altro e con Dio. Il dono dice a chi lo riceve «tu ci sei per me e la tua presenza conta, voglio significartelo con un gesto che è libero e gratuito come libera e gratuita deve essere la relazione tra di noi». L’intenzione sottesa dello scambio perverte la logica del dono stesso, ancor di più quella che sottende il dominio, rendendolo “avvelenato” come la mela di Biancaneve o il cavallo degli Achei ai Troiani. Timeo Danaos et dona ferentes, “temo i Greci e i doni che portano” farà dire Virgilio a Laocoonte nell’Eneide.

I doni, quindi, possono nascondere insidie e persino inganni mortali. Accade, ad esempio, ogni volta che invece di sancire la libertà di chi riceve si consolida la sua condizione di servo. La nostra fede ci racconta un Dio che non elargisce dall’alto ma si incarna per stare alla pari, uomo tra gli uomini, assoggettato alla loro libertà di rifiutarlo e non ricambiare l’amore da Lui donato. San Paolo dirà che, accogliendo Cristo, non siamo più servi ma figli.

Auguriamoci che il Natale possa ribadire in noi la nostra dignità di figli liberi nell’amore e, in nome di questo, il nostro proposito che ogni persona sia libera sin dalla nascita e lungo tutto il proprio percorso di vita. La libertà è un dono che il Padre ci fa attraverso il Figlio e che noi genitori facciamo ai nostri figli accompagnandoli, guidandoli e conducendoli, in altre parole educandoli (e-duco, in latino significa traggo fuori, conduco).

Parafrasando impropriamente il Vangelo, può esserci dono più grande che dare la vita per questo? Possa il Santo Natale renderci persone e genitori realmente liberi.

Auguri a tutti dall’Agesc.
Umberto Palaia
Presidente Nazionale

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Fonte: Avvenire