La lettera d’amore di Giacomo alla scuola: «Sei un mare di opportunità rubate»
AL GIOVANE DI TRENTO ANCHE I COMPLIMENTI DEL PRESIDENTE MATTARELLA«Cara Scuola non sei un edificio chiuso. Sei un mare di opportunità rubate». Sono le parole di uno studente che Michele Cristoforetti dell'Agesc, è riuscito a “cogliere” come un fiore che sboccia nelle avversità, quello più raro e prezioso di tutti: Giacomo Bertò studente del liceo classico dell’Arcivescovile di Trento ha pensato di scrivere una lettera d’amore alla scuola, un inno alla voglia di studiare, di crescere, che con la sua spontaneità e sincerità ha avuto eco a livello nazionale, tanto da suscitare una risposta del Presidente della Repubblica. Scrive Sergio Mattarella «Complimenti per la lettera che hai scritto è molto bella e coinvolgente. La scuola che ami, come luogo di incontro e aggregazione, come mare di opportunità, vivila quale valore che, come scrivi, oggi si comprende meglio. Grazie per averla scritta. Falla conoscere a tanti! Un saluto affettuoso e un augurio».
Ecco perché a questo timido studente appassionato di libri e innamorato dei suoi nonni lontani, ma vicini nel cuore, è stato insignito il premio di studente dell’anno dal gruppo Your Education. Nella lettera che ha scritto c’è il disagio di tanti suoi coetanei ritrovatisi senza un pilastro fondamentale quale è la scuola, non solo dal punto di vista formativo ma anche relazionale. Un testo scritto di getto e con emozione verso quelle quattro mura che talvolta sono tanto detestate ma che, quando vengono a mancare, lasciano un vuoto che rappresenta tutto il loro valore. Giacomo ha messo su carta sentimenti che molti altri studenti d’Italia provano ogni giorno, che però vengono trascurati e a volte ignorati dagli “altri”: gli adulti, le autorità, chi non comprende che stare a casa non significa vacanza ma subire un torto.
Ma se i sogni «son desideri chiusi in fondo al cuore», Giacomo che desidera fare l’insegnante per «poter donare qualcosa di bello agli altri», ha pensato di fare un regalo a se stesso (l’altro sogno è la scrittura ndr) e a tutti : un libro, “Jacky c’è”. La prefazione è scritta dal vescovo ausiliare di Milano, Luca Raimondi, colui che gli ha permesso di «vedere la luce». «Gli esami – racconta Giacomo – dicevano che sarei nato con forti problemi e il consiglio era quello di abortire. Don Luca ha aiutato la mamma a non precipitare in un baratro e assieme a Padre Pio le hanno dato la forza di proseguire nella gravidanza e a me di essere qui. Ho scritto questo libro per regalare emozioni attraverso le parole perché senza emozioni non si vive. E sapere che sono riuscito a fare breccia in tante persone, per me è motivo di gioia». A differenza di tanti suoi coetanei immersi nel mondo spesso illusorio e fuorviante dei social lui ama annotarsi appunti disordinati dei suoi pensieri su blocchi di carta dove la penna blu gli ricorda quelle onde del mare di cui è innamorato. La scrittura serve per esprimere i suoi tormenti, le gioie e le emozioni. Nelle sere trascorse lontano dai nonni con cui si tiene in contatto con webcam («Ogni tanto la tecnologia aiuta», racconta sorridendo) ci sono sere che ti trovi a guardare il cielo e le nuvole come se i pennelli le dipingessero direttamente sulle tele degli occhi. Anche se ad una certa ora gli occhi si chiudono le scene son lì impresse nei quadri senza cornice dentro le quattro stanze del cuore. Non c’è galleria più preziosa di quella e non serve un biglietto d’entrata. Alba e tramonto di uno stesso giorno. In mezzo si narra la storia a puntate. E al contrario di quanto ci possa sembrare ogni episodio ha un racconto disgiunto. Perché siamo attori e non spettatori di vita. Sono le notti passate a piangere, a sognare, che portano a raccontare storie che danno voce ad altri, quelle persone che ci hanno accompagnato nel cammino della propria esistenza, visi e voci che prendono vita nel libro. D'altronde chi ha sofferto non dimentica, può solo condividerlo se incrocia un’altra strada. Della scuola ha una strana visione. «Non guardo i voti perché dò il massimo di me stesso e questi non sono io, Giacomo, ma soltanto un velo, un ostacolo che mi impedisce di far vedere quello che ho appreso, se non sono alti».
Si raffigura sempre in movimento, al fianco una panchina nella quale non si siede mai, con lo sguardo diritto in attesa che qualcuno gli venga incontro.
«Perché – conclude – sedersi è un errore: il tempo passa, ognuno è libero perché Dio ci ha creati liberi, ma è importante, nel tempo che abbiamo, farne tesoro».
« Non puoi guardare al domani se non hai un presente stabile. Che per noi ragazzi significa tornare fra i banchi perché, sono centro di aggregazione, luogo d’incontro dove ognuno scopre il suo piccolo spazio », conclude Giacomo.
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Fonte:Avvenire