La guerra entra nelle nostre case: ecco come parlarne ai bambini

I CONSIGLI DI MAURO PAVONI, PRESIDE E PEDAGOGISTA
La guerra entra nelle nostre case: ecco come parlarne ai bambini

Professor Mauro Pavoni, preside dell’Istituto paritario cattolico “Seghetti” di Verona e pedagogista: c’è un modo “giusto” per parlare di quello che sta succedendo in Ucraina coni ragazzi?

Se vogliamo individuare un modo giusto, dovremmo partire dal far emergere ciò che questi accadimenti provocano dentro di noi, parlandone in modo particolare in famiglia e a scuola. Il momento storico che stiamo vivendo è delicato, difficile e complesso: l’emergenza Covid- 19 ha condizionato non poco le vite di tutti noi, ora si aggiungono le preoccupazioni di una guerra incomprensibile e inaccettabile nelle ragioni che sembra l’abbiano scatenata. Il clima di incertezza non è da sottovalutare, credo allora sia importante, in famiglia come a scuola, creare occasioni che, a partire dalla guerra, lascino spazio all’espressione e all’ascolto di quello che provoca in noi. Del resto, riconoscere, accettare, condividere e vivere le proprie emozioni è la via maestra per diventare forti, resilienti e sensibili gli uni verso gli altri. Ascoltarsi reciprocamente è educarci all’umanità, è un cammino di crescita nella convivenza tra le persone; in altre parole, è già ingenerare l’antidoto alle guerre.

Con i più piccoli che atteggiamento avere? È opportuno farli parlare?

Parlarne è importante: il modo dipende evidentemente dall’età. La guerra purtroppo è una delle esperienze che in tante parti del mondo coinvolgono come protagonisti, loro malgrado, anche tanti bambini. È quindi fondamentale non trasferire su di loro le nostre preoccupazioni o angosce ma, più che dare spiegazioni, suggerirei di far esternare le loro paure e domande. L’adulto dovrebbe mediare ed evitare che il bambino resti esposto alla crudezza delle immagini che inevitabilmente incontra. Importante è non lasciarlo solo, rassicurarlo e trasmettere senso di protezione e sicurezza. Concetto principale è far cogliere che la guerra genera ingiustizia e dolore.

C’è molta voglia di sapere. Come guidare positivamente questa voglia?

I preadolescenti e gli adolescenti, alla ricerca dell’identità, vivono una fase diversa della loro crescita, sono critici, dividono in modo manicheo il mondo in bianco e in nero, si schierano naturalmente da una parte contro l’altra! Discutere con loro potrebbe essere anche più facile. L’adulto deve essere preparato, informato e un interlocutore competente. Sono assidui frequentatori dei social e le loro fonti principali provengono da Internet. Bisogna aiutarli a stare dentro la rete, attenti alle fake news, farsi raccontare- provocare ciò che raccolgono e sviluppare un pensiero critico. Credo che lasciarci contagiare dalla loro lettura degli accadimenti arricchisca anche noi.

Quale rapporto fra scuola e famiglia in questa situazione?

La famiglia certamente costituisce un punto di riferimento fondamentale per l’educazione dei figli e non le può essere sottratta la naturale e fondamentale missione educativa. Tutte le altre agenzie educative non possono sostituirla ma, allo stesso tempo, non possono lasciarla da sola in questo compito: possono solo allearsi, se vogliono educare! Chiaramente con ruoli e compiti diversi, ma ciascuno indispensabile all'azione educativa.

Educare alla pace come fondamento della vita civile. Si può fare?

Gino Strada diceva che «le guerre, tutte le guerre, sono un orrore. Non ci si può voltare dall’altra parte». Quello che sta purtroppo accadendo non va lasciato passare sulle nostre teste o lasciato in pasto ai notiziari o ai social, ma deve diventare occasione di riflessione, di approfondimento e di confronto. La guerra, non solo quella che si sta combattendo in Ucraina, nelle aule scolastiche deve diventare un’attività didattica che favorisca la ricerca dei dati, la lettura e l’analisi di informazioni. Il confronto reciproco tra coetanei, poi, diventa strumento ideale per educare ai valori fondamentali della convivenza, del rispetto e soprattutto della condivisione di regole che permettano di star bene insieme. E il contesto classe diventa esso stesso luogo ideale in cui sperimentare che la pace e la convivenza solidale non sono un’utopia, ma una possibilità che hanno le persone.

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Fonte:Avvenire