La Festa del 1° Maggio e la dimensione umana del valore del lavoro

IL RUOLO DEI CFP PARITARI PER UNA RINNOVATA PEDAGOGIA
La Festa del 1° Maggio e la dimensione umana del valore del lavoro

«L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». Recita così l’Articolo 1 della nostra Costituzione e bene evidenzia il valore che i padri costituenti attribuivano al lavoro. Negli ultimi anni una spinta fortissima ad un’economia sempre più liberista ed il continuo riferimento al “costo” del lavoro, come ad un onere da tagliare e diminuire a beneficio del profitto, hanno radicalmente cambiato il valore profondo del lavoro, tanto che oggi viene da chiedersi quale significato abbiano nella società la fatica, l’ingegno, la preparazione culturale funzionali alla realizzazione del sé mediante il lavoro. Sono domande che tutti dovremmo porci: educatori, genitori, formatori e che in occasione della Festa del Primo Maggio vogliamo condividere con chi cerca di rispondervi vivendo in prima persona la sfida dell’educare. Don Alessandro Ticozzi è direttore dell’Istituto Sant’Ambrogio di Milano, scuola paritaria con annesso un Centro di Formazione Professionale della Fondazione CnosFap. Come si insegnano un mestiere, un lavoro, una professione? «A partire dall’entusiasmo e dalla voglia che i ragazzi hanno di fare – spiega don Alessandro –. I ragazzi che hanno “l’intelligenza nelle mani” devono essere aiutati a trovare piacere nel fare bene le cose e arrivare ad un’opera compiuta con la gioia». Per comunicare tutto questo basta «iniziare dalle cose semplici: un laboratorio attrezzato, pulito, ordinato dice che c’è qualcuno che ne ha cura. Importantissima poi è la passione dei docenti e formatori, dei tecnici di laboratorio, che trasmettono il loro sapere, il loro saper fare, ma con il gusto e la gioia di farlo: “Sto facendo una cosa bella, e stai facendo una cosa bella, stai imparando una cosa bella». Quanto al valore pedagogico del lavoro, «quando comincio ad avere idea che questa cosa che sto facendo è bella ed è fatta bene, allora comincio ad essere disponibile a fare fatica, a impegnarmi per correggere eventuali errori. In questo modo si innesca quel processo di crescita che consente di “imparare ad imparare”. Fondamentale diventa in questo percorso lo spirito di collaborazione. Da questo punto di vista la formazione professionale regionale non è puro e semplice addestramento. Il valore di questa esperienza educativa sta nella costruzione di una coscienza civile, per cui il lavoro diventa una forma di partecipazione alla propria comunità di persone, che nel lavoro credono e con il lavoro si realizzano». Si tratta quindi di imparare a 'prendersi cura' dell’uomo e del mondo attraverso il lavoro. «La cura stessa degli strumenti e degli ambienti diviene occasione educativa – sottolinea don Alessandro –. I ragazzi, proprio a partire dalla loro realtà, imparano che il mondo non finisce nel loro piccolo orizzonte. La loro è una esperienza concreta, un vissuto ordinato e regolare appreso nei fatti, che ha come prospettiva il mondo». Non è un caso che papa Francesco ricordi spesso il grande pericolo di un’economia disancorata dal lavoro dell’uomo e tutta protesa verso il profitto. È possibile portare i nostri ragazzi a riflettere su tutto questo? «La dimensione del lavoro come fattore economico, produttivo di ricchezza – risponde il sacerdote – non va mai separata dal principio di responsabilità. All’interno dei percorsi di formazione professionale, perciò, il valore del servizio e del beneficio derivante dal lavoro, sono fondamentali per evitare di cadere nella convinzione che il lavoro valga solo per il profitto e non come espressione della propria creatività. La dimensione educativa del lavoro si fonda su un’etica, direi perfino su un’estetica, della precisione e del rigore come vanto di autonomia. Per questo bisogna avere il coraggio di tracciare nuovi orizzonti». Un consiglio concreto per tutti, il direttore dell’Istituto Sant’Ambrogio di Milano lo dà quando dice che «dobbiamo recuperare il valore prezioso della 'intelligenza delle mani'. Non possiamo pensare che i ragazzi portati per gli aspetti operativi e pratici vadano trattati come scarti della scuola. La formazione professionale non può essere una specie di ghetto dove vanno a finire i ragazzi che 'non amano lo studio'. Quanti dei nostri ragazzi ci arrivano dopo fallimenti scolastici, con un’autostima ormai distrutta! Noi li rigeneriamo con il metodo della 'valorizzazione'. Ognuno di noi ha doti straordinarie e utili per la comunità civile».

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Fonte:Avvenire