La disabilità come risorsa per lo sport e per la scuola

La giovane campionessa paralimpica di nuoto con l’Agesc di Verona per raccontare ai ragazzi la sua storia di riscatto dalla malattia
La disabilità come risorsa per lo sport e per la scuola

Prosegue il viaggio nello sport grazie all’evento organizzato dall’Agesc Verona e dal suo presidente regionale Silvio Corso, che ha fortemente voluto la campionessa di nuoto paraolimpica Xenia Francesca Palazzo, ventenne nata con un’emorragia celebrale che le ha procurato una disabilità intellettiva e relazionale permanente. I medici non le avevano dato possibilità di sopravvivenza. Grazie alle cure amorevoli della nonna neurologa e della mamma invece, che l’hanno inserita in un programma sperimentale di riabilitazione in piscina, all’età di dieci anni ha iniziato a parlare (prima in inglese, poi in italiano). Una vita fatta di fatica, sacrifici e perseveranza perché se un gesto tecnico veniva appreso dai suoi coetanei in tre mesi a lei ne occorrevano oltre tredici. Ma lei non s’è arresa. Ed è stata proprio sua mamma a volerle far fare nuoto agonistico perché vedeva i sui miglioramenti costanti: da una semplice terapia il nuoto è diventato un amore.

«Non è facile spiegare la mia situazione – spiega la giovane nuotatrice –– occorrerebbe un film “a tutto tondo” con immagini e sonoro. Io sono stata sempre differente da i miei coetanei normodotati, ma lo sport mi ha aiutato a vincere non solo le medaglie. Ho superato le divisioni e imparato a sentirmi come gli altri: viva. Sostenetemi, seguitemi – ha detto Xenia ai ragazzi –, fate il tifo non solo per me ma anche per gli altri ragazzi. Gli atleti paraolimpici sono sempre col sorriso e questo ci permette di essere felici, fare del nostro meglio e divertirci. Sono giovane e ho ancora tanti sogni: le qualificazioni ai mondiali di Londra e Tokyo, ma essere qui in mezzo agli altri è la medaglia più bella». Senza addentrarci nelle suddivisioni terminologiche e le conseguenti differenze fra menomazione, minorità, handicap, spiega lo psicologo Maurizio Colombo, va ribadita la necessità di una società «che pretenda di considerarsi civile sia quella di considerare il problema della disabilità come fondamentale. Disabilità congenita od acquisita deve essere intesa in modo multifattoriale e dinamico. Multifattoriale, perché vi è una interazione continua fra le menomazioni fisiche e quelle psicologiche. Dinamica perché il variare della sintomatologia e il mutare delle condizioni ambientali giocano un ruolo spesso determinante nel percorso di inserimento sociale». Fin dalla più giovane età i ragazzi dovrebbero essere dunque educati a considerare ogni persona diversamente abile «per favorire la piena accettazione di coloro che vantano un qualsivoglia tipo di limitazione ». Altrettanto decisivo sarebbe, per favorire un inserimento/ reinserimento nel mondo lavorativo, concentrarsi «sulle “abilità residue” dell’individuo colpito da handicap, di modo che, sfruttando le sue caratteristiche, si rafforzerebbero la sua autostima e si faciliterebbe la sua inclusione sociale».

Ma se l’aspetto lavorativo è importantissimo, è bene soffermare l’attenzione su coloro che, oppressi da gravissime limitazioni, soffrono quotidianamente per la mancanza di strutture adeguate, sofferenza decuplicata dalla consapevolezza di gravare sui familiari e sugli amici. «L’approccio, nei confronti di costoro non può essere solo organicistico – continua Colombo – volto cioè a ripristinare, ove possibile, uno stato di salute tale da garantire un certo grado di autonomia, ma deve essere socio politico, in modo tale da potere fornire strutture capaci di garantire un sufficiente grado di conforto».

Conclude il presidente Agesc Frare: «Della disabilità di cui non solo lo sport, ma anche la scuola dovrebbe occuparsi, non ci si deve ricordare solo in prossimità delle elezioni, ma l’individuo deve essere seguito nel suo cammino esistenziale per facilitarne l’inserimento, in modo tale da garantirgli pari opportunità per conseguire quell’ideale di felicità a cui tutti gli uomini hanno diritto di aspirare sia nell’ambito sportivo che nell’ambito educativo quindi scolastico».

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