«Io, in trincea contro il coronavirus, vi dico perché vinceremo questa battaglia»

Dopo tante ore passate in reparto, si rischia di crollare. Ma c’è la certezza di combattere una battaglia per il bene di tutti
«Io, in trincea contro il coronavirus, vi dico perché vinceremo questa battaglia»

In questi tempi complicati, ecco la testimonianza di un papà di due figli, un maschio e una femmina. Uno che di lavoro salva le vite. Una giornata come le altre, ma questa lo segna in maniera indelebile.

Ore 11.30: partenza per andare al lavoro, si inizia alle13, una sosta per prendere qualcosa da mangiare, ma tanto sa che non riuscirà a toccare cibo. Occorre arrivare per tempo perché la vestizione, per entrare in zona infetta, dura circa 15 minuti, bisogna dare il cambio ai colleghi.

«Mi svesto dei miei abiti civili, mi infilo la tuta bianca chiudo la cerniera fino al mento, sigillo il collo con una fascia adesiva applico il filtro facciale (maschera ffp3) la faccio aderire bene al naso e faccio la prova di tenuta inspirando in modo energico, come un respiro prima di fare un tuffo dal trampolino, o prima di fare una cosa importante emozionante .... copro il capo col cappuccio, e già i rumori si attutiscono. Infilo un ulteriore copricapo e lo lego dietro al collo. Infilo il primo paio di guanti, e quelli copriranno le mie mani almeno per 4/5 ore se riuscirò a fare una pausa altrimenti non le vedrò per tutto il turno.... 6 ore al mattino 7 ore al pomeriggio o 11 ore alla notte. Secondo paio di guanti, mi guardo allo specchio controllo se ho indossato tutto correttamente, entro nella stanza. Ci sono 7 pazienti, tutti intubati e immobili più uno in una stanza singola.

Sono ormai vent’anni che vedo questa scena, ma questi mi fanno un effetto diverso e non so perché. Ho sempre cercato di rimanere distaccato, di non farmi coinvolgere troppo emotivamente. Ma oggi provo una sensazione strana, come se quello che stiamo facendo non abbia un senso. Una battaglia contro una cosa invisibile, che non vedi, che non conosci. Come se il Covid19 sia li, ovunque, di fianco a te, che aspetti il momento giusto per entrare nel tuo corpo appena fai un errore. Intanto sento il mio respiro nelle orecchie, e la mia voce rimbomba nella tuta bianca, parlo forte perché i miei colleghi altrimenti non mi sentono. Siamo vestiti tutti uguali e cosi per chiamarci ci siamo scritti il nome davanti e dietro la tuta bianca. Chi porta gli occhiali da vista come me ad ogni respiro si appannano e poi si asciugano, e cosi per tutto il giorno. Comunichiamo tra di noi solo con le parole, indipendentemente dell’espressione del volto, e senza distinguerne l’intonazione... parole e frasi fredde e inespressive ... brutta sensazione.

Oggi, però, mi sento strano non riesco a respirare bene faccio fatica... ma non ci penso e inizio la mia attività quotidiana. È toccato a me, il primo decesso da Covid19. Riavverto di nuovo quella sensazione di fatica respiratoria... non ci penso.
Da procedura dobbiamo mettere la salma in un sacco di gomma grigia, e così facciamo, chiudiamo la cerniera e applichiamo le etichette con scritto materiale infetto da coronavirus in attesa che gli addetti vengano a ritirarla. La mia mente comincia a vagare nel vuoto senza un pensiero, con una sensazione di smarrimento e impotenza. Mi siedo e mi applico un po’ di ossigeno, mi sembra di stare meglio. Ricomincio il lavoro, cioè la rilevazione dei parametri respiratori e vitali dei pazienti ... ma niente, sento una sensazione di angoscia e mi viene da piangere cosa che faccio di li a poco.
Decido di uscire, mi svesto un po’ frettolosamente, esco dalla stanza, vado negli spogliatoi e piango a dirotto!
Aspetto un po’ sperando che mi passi, voglio rientrare perché ho lasciato la mia collega con un infermiere da poco assunto e inesperto. Ma non riesco.... avverto il mio superiore e decido di andare a casa. ..... non credevo capitasse proprio a me ...ma sono crollato!

Domani tornerò al lavoro perché ora sto bene e non voglio pesare sui colleghi. Saranno mesi difficili per tutti ma ce la faremo».
Questa è una voce, un viso che non apparirà mai in televisione, ma che quotidianamente è lì pronto a salvarci la vita. Non si scrive una bella canzone con una sola nota, né una poesia con un’unica lettera. Chiunque metta in gioco sé stesso, il proprio tempo e il proprio talento per aiutare il prossimo ad avere ancora fiato e voce, dà spazio e dignità alla sua vita e aggiunge senso e valore alla nostra.

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