Il dovere della Memoria passa dalla scuola (e dall’esempio degli adulti)

Venendo meno i testimoni diretti delle tragedie del Novecento, tocca ai giovani «non dimenticare»
Il dovere della Memoria passa dalla scuola (e dall’esempio degli adulti)

Da persone non più giovanissime percepiamo forse di più il senso della memoria, dell’importanza di non dimenticare quanto successo perché molti dei fatti tragici del ‘900 ci appartengono se non altro perché ognuno ha (ormai per i più ha avuto) un testimone diretto di quegli eventi in famiglia.

È il caso del Giorno del Ricordo, dedicato alla memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo di migliaia di italiani dall’Istria, dalla Dalmazia e dalla Venezia Giulia. Tra l’ottobre del 1943 e il maggio del 1947, migliaia di italiani furono imprigionati, fucilati e gettati dai partigiani comunisti di Tito nelle cavità carsiche dell’Istria e della Dalmazia, tristemente note come foibe. Per ricordare i massacri e le vicende di quegli anni, il Parlamento italiano ha istituito questa giornata con la Legge 30 marzo 2004 n. 92. Per decenni gli eventi tragici delle foibe e i fatti che hanno portato al loro verificarsi erano stati dimenticati. Poi, negli anni Novanta, la vicenda è finalmente venuta alla luce come un fiume carsico nascosto sotto un silenzio di comodo. Prima o poi con la storia bisogna fare i conti e se la storia ci deve essere maestra, ancora di più va fatta conoscere ai nostri ragazzi, ai nostri giovani.

In una trasmissione televisiva di qualche giorno fa un corrispondente Rai da New York, molto conosciuto, parlando delle primarie negli Stati Uniti e in generale dell’elettorato americano sottolineava la sempre più crescente disaffezione dei giovani per il voto. Negli Usa solo il 30% dei giovani va a votare. Per certi versi nel nostro Paese sta succedendo la stessa cosa (elezioni politiche passate docent). Cosa c’entrano questi dati con un anniversario come quello di domani? A noi sembra che la memoria sia indissolubilmente legata con la politica, ovvero con il “buon governo”, perché è solo attraverso la conoscenza del passato, la consapevolezza delle ferite lasciate e la determinazione di cambiare le cose per il futuro che possiamo veramente dare senso a quella immensa sofferenza patita da un numero enorme di persone innocenti. Una memoria che diventa dunque considerazione per l’importanza del governare, del prendersi “cura” guidando i cambiamenti. Ed oggi ne abbiamo estremo bisogno.

C’è un altro aspetto che è importante considerare perché ha pesato per molto tempo sulla storia delle “foibe”: ci riferiamo alla strumentalizzazione ideologica di questa complessa vicenda del confine orientale.

Chiudere all’interno di recinti “ideologici” il dramma di mezzo milione di esuli istriano-dalmati e del numero impressionante di infoibati in quei tristissimi anni è uccidere due volte chi è morto e calpestare la storia di chi, quelle tragedie, ha vissuto in prima persona. Per fortuna i testimoni ci sono ancora (anche se sempre meno) e dalle loro testimonianze e ricordi emerge proprio questa richiesta: non strumentalizzate le nostre sofferenze.

Per tutto questo è quindi indispensabile continuare a lavorare, a partire dai banchi di scuola, senza pregiudizi o resistenze ideologiche, perché quella tragedia è frutto dei totalitarismi che hanno devastato nel secolo scorso l’Europa; di quell’odio seminato a piene mani che ha prodotto un immenso carico di dolore, sofferenze, ingiustizie che è sempre dietro l’angolo come la cronaca di questi giorni sta a dimostrare. Storia, consapevolezza, conoscenza delle realtà geografiche e delle decisioni politiche che hanno prodotto conflitto, dolore, morte e rabbia. Questi sono i principi sui quali si fonda una corretta educazione civica. Ricordare è fondamentale per evitare che ancora si ripetano fatti del genere, non per alimentare spirito di rivalsa, ma per nutrire desideri di pace e di fratellanza; valori che sono “scritti” nell’atto costitutivo di Agesc e che ci appartengono da sempre. Ricordiamo tutti l’immagine del nostro presidente Mattarella e del presidente sloveno Pahor mano nella mano sul confine di stato che divide in due una città che ha due nomi, Gorizia e Nova Gorica e hanno dato un segnale straordinario di pace e amicizia. Quel gesto ha portato a designare Gorizia e Nova Gorica Capitale Europea della cultura del 2025. Se le persone mature e i capi di stato fanno questo, c’è speranza. I giovani devono saperlo e raccogliere il testimone. Alla scuola il compito di non disperdere la ricchezza di questi esempi.

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Fonte:Avvenire