«Cara scuola, ritorna ad essere un luogo sicuro dove crescere liberi»

In occasione della Giornata Mondiale dello Studente, una giovane scrive questa lettera appassionata
«Cara scuola, ritorna ad essere un luogo sicuro dove crescere liberi»

Cara scuola, oggi sono qui a scriverti una lettera, una lettera tra amiche, niente di più, nulla di meno, una di quelle che si ricevono per i compleanni, fatte per ringraziare, per chiedere e per esprimere tutto quello che si prova, trovando un’occasione adatta per farlo. E allora oggi, seduta in un angolo della mia stanza, ti vorrei chiedere se hai la consapevolezza del tuo valore, del tuo unico e imprescindibile fine: rendere noi, anime fragili, libere. Sì, perché il concetto di libertà, che da sempre nella storia è stato motivo di rivolte, proteste, guerre, rivoluzioni e alleanze è saldato al concetto di conoscenza, l’uomo libero e l’uomo che conosce, l’uomo che ha la possibilità di scegliere e non di appartenere, la capacità di volere e non di eseguire, il privilegio di aderire a un ideale e non solamente possederlo.

La libertà è il più aulico tra i tuoi valori, e l’affermazione è innegabile. Basti pensare ai maggiori totalitarismi della storia, di cui sei stata primo bersaglio certo nella loro lotta verso la privazione delle libertà. Mi sorgono però spontanee numerose domande: perché tu, detentrice del più fondamentale dei valori, tu, che etimologicamente dal greco “skhol ” significhi “tempo libero“, tu, che sei considerata dal tuo stesso significato luogo inviolabile e di protezione (dove asilo prende il significato di “luogo inviolabile” attribuito ai luoghi sacri, e il termine liceo deriva dal tempio di Apollo Licio, utilizzato per proteggere le greggi dai lupi) sei diventata oggi luogo di terrore, fobia, stress, posto dove il 73% dei tuoi frequentanti sta male? Cara amica mia, ti sei trasformata perché sottomessa al tuo più grande difetto, che contrariamente a quanto si pensa comunemente non è la tua struttura o staticità nel tempo, ma risiede nella campanella. Sì, esattamente, la causa dei tuoi problemi sta nel suono assordante di un piccolo oggetto d’acciaio, capace di porre il più pericoloso dei limiti: quello tra scuola e vita. Se un alunno, leggendo la Divina Commedia, non si emoziona, se le nozioni di storia non riescono a generare dei grandi “perché”, se le leggi matematiche del mondo restano inutili scarabocchi su un quaderno a quadretti e le più grandi forme d’arte non riescono a sollecitare l’io interiore, si va incontro al vero grande problema della scuola, dettato appunto dal suono di un’apparente e insignificante campanella.

Quindi, cara compagna, torna ti prego ad essere l’essenza materna, capace di tenere in grembo i tuoi figli, di elogiare e conservare attitudini e predisposizioni. Torna ad essere offerta di spunti di vita, che permettono di rivedersi nella nostalgia di Ulisse per la sua cara Itaca, nel profondo sentimento provato tra Amore e Psiche, nella paura provocata dalla vastità delle leggi fisiche. Torna ad essere tempio sacro di riparo dal lupo crudele della non libertà data dall’ignoranza, torna ad essere la scuola di Socrate dove i frequentanti erano invitati ad ascoltare il loro demone interiore e non a fare di tutto pur di allontanarlo, come ultimamente capita, attraverso, per esempio, l’uso spropositato dei mass media, capaci con la loro superficialità contenutistica di silenziare il “daimònion”, limitando così la sua innegabile capacità di provocare tormento e invadere tutto ciò che è dentro di noi, anche quelle piccole-grandi cose dalle quali si vorrebbe scappare, mettendo apparentemente a tacere quella che oggi potremmo considerare come coscienza.

Perché tu, cara compagna, hai il grande privilegio di “esserci”, (per tutti, come citato dall’articolo 34 della costituzione) nel momento più fragile della vita dell’uomo, quello della sua formazione, dove, però, fragilità non coincide con debolezza, ma con estrema vastità di opportunità, un’opportunità che vorremmo fosse per tutti, per ciascuno, con la sua storia e i suoi sogni.

Con tanto affetto, tua amica Cecilia

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Fonte:Avvenire