«ASCOLTARE I PROPRI FIGLI COMBATTENDO LA TENTAZIONE DI INDIRIZZARE LA DECISIONE»
Umberto Palaia, presidente Agesc: «Vivere questo momento senza apprensione. Un errore non è un fallimento ed è recuperabile»Saper ascoltare i figli è sempre una buona qualità per un genitore. Quando si tratta di scegliere la scuola superiore, diventa un fattore indispensabile e decisivo. Parola di Umberto Palaia, presidente dell’Agesc, l’Associazione genitori scuole cattoliche, da mezzo secolo a servizio delle famiglie. Un ruolo tanto più prezioso oggi, in una fase segnata da una certa fatica anche nei rapporti dentro le mura di casa. Come evidenziato anche dall’ultimo rapporto del Consiglio nazionale dei giovani: l’indice di soddisfazione dei ragazzi, per quanto riguarda la capacità di ascolto, è più alto verso i coetanei e gli amici (71,1 punti), che nei confronti dei genitori e dei familiari (68 punti).
Presidente Palaia, quale deve essere, in questa fase, la priorità di un genitore?
Credo che la priorità sia insegnare ai nostri figli a scegliere. Aiutarli in questo. Ad ascoltare i propri desideri e le proprie aspirazioni e allinearli alle proprie scelte.
Quindi, più che di consigli, i ragazzi hanno bisogno di adulti capaci di mettersi in ascolto?
Aggiungo: adulti che ascoltano di più i propri figli senza precorrere i tempi con scelte orientate troppo rigidamente agli sbocchi lavorativi futuri. Non dimentichiamo che i ragazzi avranno ancora davanti 4-5 anni in cui gli orientamenti lavorativi avranno modo e tempo di svilupparsi in misura certamente più definita di quanto sarebbe possibile al momento dell’iscrizione alla scuola superiore.
Quindi, meglio un liceo dell’istituto tecnico?
Va benissimo orientarsi verso una scuola tecnica, se questo corrisponde ai desideri e alle aspirazioni dei ragazzi. Sapendo, però, che difficilmente si acquisisce la competenza tecnica a scuola. Credo che tutto ciò che contribuisce ad arricchire, a far crescere la loro personalità sia positivo. Noi genitori dobbiamo essere capaci di dare ai nostri figli un metodo di analisi della realtà che li circonda. Per questo, ripeto, è fondamentale il dialogo e l’ascolto. Anche degli insegnanti che vedono i ragazzi tutti i giorni.
La tentazione di “indirizzare” la scelta è forte: come combatterla?
Educare significa aiutare un figlio ad arrivare dove vuole lui non dove vogliamo portarlo noi. Non dobbiamo anteporre la nostra visione a quella di nostro figlio. Di più. Imporre la propria scelta è assolutamente compromettente per la crescita della personalità del ragazzo.
L’ultimo rapporto AlmaLaurea dice che soltanto il 53,1% dei maturati del 2024 si dichiara soddisfatto della scelta della scuola superiore, effettuata almeno cinque anni prima. Come vivere, da genitore, il rischio, sempre possibile, che il proprio figlio sbagli la scelta della scuola superiore?
Da genitore dico che una certa apprensione c’è e, credo, sia anche naturale. L’importante è rendersi conto che, anche un eventuale errore di valutazione, che può dunque portare ad effettuare una scelta che può rivelarsi sbagliata, non deve essere considerato un fallimento. Né del genitore, né tanto meno del figlio. Un errore è sempre possibile ma, per fortuna, è anche recuperabile.
Magari con l’aiuto della scuola...
Insegnare a imparare: è questo che fa la scuola. E anche l’orientamento deve essere un processo in divenire tra famiglia e scuola. Un momento di passaggio che deve essere vissuto con meno apprensione possibile. E in questo la capacità di ascolto dei genitori riduce di molto il margine di errore.
Si torna ancora una volta lì....
Ma è la chiave di tutto. La cosa migliore che un genitore può fare è mettersi in ascolto dei propri figli, in una fase così delicata della loro vita. Se in seguito scopriranno di aver sbagliato resterà comunque l’esperienza di aver scelto. E sarà stata un’esperienza di maturazione. Naturalmente parlo da padre, non sono un pedagogista. Ma oggi vedo tanti ragazzi in difficoltà per la paura di scegliere e sbagliare. Ma esistono scelte sbagliate o poi la vita ci conduce sempre lì dove dovevamo essere?
Paolo Ferrario
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Fonte: Avvenire