A CINQUANT’ANNI DAI “DECRETI DELEGATI”: GENITORI E SCUOLA DELLA SOCIETÀ CIVILE

«La partecipazione si realizza quando è una comunità ad esperirla come modalità di auto-governo»
A CINQUANT’ANNI DAI “DECRETI DELEGATI”: GENITORI E SCUOLA DELLA SOCIETÀ CIVILE

Il 20 febbraio scorso si è svolto a Roma, presso la sede nazionale dell’Aimc, un convegno organizzato dal Forum delle Associazioni Familiari dal titolo “La corresponsabilità educativa: prospettive e proposte per nuove rotte, a 50 anni dai decreti delegati”. Di seguito una breve sintesi dell’intervento del Presidente nazionale dell’Agesc.

La mia esperienza di genitore attivo all’interno della scuola, da cui poi è scaturita la mia adesione all’Agesc, comincia proprio nel Consiglio di Istituto, come rappresentante della scuola secondaria frequentata da mia figlia. Già da studente al Liceo avevo partecipato ai consigli come rappresentante degli studenti. Devo dire però che da genitore ho avuto modo di percepire concretamente come sugli organismi rappresentativi della scuola ci siamo fermati ad un’applicazione tecnica e meramente formale delle procedure democratico-partecipative, senza riuscire a dare corpo e sostanza a questi organismi pur meritori.

Mi permetto, quindi, di dire che, come spesso accade, non si tratta tanto di promulgare leggi migliori, quanto di comprendere cosa ha impedito la realizzazione degli scopi che si prefiggono quelle in vigore. Da questo punto di vista, credo che si debba innanzitutto prendere atto che una reale partecipazione democratica si realizza quando è una comunità ad esperirla come modalità di auto-governo di ciò che viene considerato il proprio bene collettivo. Altrimenti si rischia di ritrovarsi con un sistema di regole formali che non è in grado di suscitare di per sé partecipazione, impegno o responsabilità.

Le procedure democratiche basate sulla delega necessitano di un tessuto connettivo e questo tessuto è la società civile. Gli organi collegiali sono l’hardware che ha bisogno, per funzionare, del software, costituito dal capitale sociale presente nella società civile e che la scuola deve far entrare al suo interno, innanzitutto favorendo la partecipazione e l’iniziativa progettuale dei genitori a partire dall’elaborazione del progetto formativo.

Ma non basta: la scuola deve aprirsi e relazionarsi con le soggettività presenti sul territorio su cui insiste, dalle associazioni di volontariato e promozione sociale a quelle dei lavoratori e degli imprenditori, artigiani e commercianti, dagli intellettuali alle istituzioni culturali, al fine di creare una vera connessione tra scuola e società civile, un’osmosi virtuosa tra istituzioni, enti e soggetti attivi della scuola, siano essi genitori, studenti, docenti o dirigenti.

L’Agesc, nel corso della sua storia ha parlato di «scuola della società civile» ed è da lì che, a mio parere, bisogna ripartire se, come dicevo all’inizio, si vuole dare corpo e sostanza ad un progetto di scuola aperta e partecipata. E se non per questo, mi chiedo, se non per una scuola che sia palestra di democrazia, di civismo, di cura del bene comune e della persona, per cos’altro dovremmo tutti noi lavorare e batterci?

Nicolás Gómez Dávila, un pensatore latinoamericano del secolo scorso, ha scritto che «la libertà non è un fine ma un mezzo. Chi la scambia per un fine quando la ottiene non sa cosa farsene». Mi ritrovo spesso a pensare che se noi genitori delle scuole cattoliche, noi dell’AGeSC cadessimo nell’errore di considerare la libertà di scelta educativa un fine e non un mezzo, una volta che la ottenessimo non sapremmo come impiegarla in assenza di un’idea di scuola significativamente diversa da quella che oggi offre gran parte del panorama formativo nazionale.

Dobbiamo avere l’audacia di immaginare una scuola in cui innanzitutto gli studenti siano soggetti attivi del processo di apprendimento e non tanto terminali passivi di nozioni e tecniche trasmesse mediante lezioni quasi sempre frontali e unidirezionali. E mi chiedo ancora: davvero ci siamo rassegnati a questo? Eppure, abbiamo, noi cattolici in primis, esempi luminosi di educatori straordinari come don Lorenzo Milani, San Giovanni Bosco, la stessa Maria Montessori e molti altri.

Bisogna allora suscitare un nuovo entusiasmo progettuale che parta da un profondo senso civico, dalla voglia di riappropriarsi di spazi collettivi e prendersene cura. Marc Augè, ormai vent’anni fa, ci ha spiegato come i luoghi privi di socialità diventano “non-luoghi” e la scuola se non è animata da soggetti attivi che intessono tra di loro relazioni significative rischia purtroppo di diventare tale.
Umberto Palaia
Presidente Nazionale

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Fonte: Avvenire