A 25 ANNI DALLA LEGGE 62/2000 LA PARITÀ SCOLASTICA È ANCORA TUTTA DA COMPIERE

Se ne parlerà lunedì durante un convegno in Regione Lombardia, con il ministro Valditara
A 25 ANNI DALLA LEGGE 62/2000 LA PARITÀ SCOLASTICA È ANCORA TUTTA DA COMPIERE

Lunedì prossimo, 24 marzo, si terrà a Palazzo Lombardia, sede della Regione, un importante incontro dal titolo “25 anni di legge di parità e dote scuola: Bilancio e sfide di una rivoluzione incompiuta”. L’evento avrà luogo alle 15 nell’Auditorium Testori. Padrona di casa l’assessore regionale all’istruzione Simona Tironi che ospiterà il Presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana, monsignor Pierantonio Tremolada, il direttore dell’Usr Lombardia, Luciano Volta, il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara. Il dibattito vedrà anche l’intervento delle associazioni che insieme all’assessore hanno promosso questo momento di confronto, tra cui Agesc, Age, Fism, oltre a quello di Roberto Formigoni, padre politico del “buono-scuola” lombardo, e di Roberto Pasolini, rettore dell’Istituto Leopardi. Nelle intenzioni dei promotori sarà un’occasione per tentare un bilancio ma soprattutto per riaffermare e rilanciare le ragioni che portarono alle due misure legislative, accomunate dall’intento di inverare quanto prescritto dall’art. 33, 4° comma, della Costituzione: «Assicurare piena libertà alle scuole non statali che chiedono la parità e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali». Per noi genitori dell’Agesc la libertà di scelta educativa trova una sua garanzia istituzionale anche in un’altra, fondamentale norma: l’art. 30 della Costituzione, che afferma come sia «dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli». L’istruzione e l’educazione spettano quindi chiaramente e in via primaria ai genitori, i quali, poi, si avvalgono, per assolvere a questo compito, di agenzie formative quali la scuola. Ma come si può esercitare pienamente questo diritto- dovere se non si è liberi di scegliere la scuola per i propri figli? Continuamente nel nostro Paese si assiste ad una distorsione, se non ad un vero e proprio occultamento delle ragioni vere e giuridicamente fondate alla base della libertà di scelta educativa, dipingendo quanti la invocano come una sparuta minoranza che pretenderebbe la garanzia di un privilegio. Al contrario, si tratta di una libertà fondamentale della persona statuita dalla Costituzione della Repubblica, dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, dalla Risoluzione del parlamento Europeo sulla libertà di educazione nell’UE del 1984 e, infine, dalla Dichiarazione sulla Diversità Culturale del 2001. Come scriveva il Prof. Guglielmo Malizia, dell’Università Pontificia Salesiana di Roma, «la libertà di educazione, come libertà di scelta della scuola da frequentare, si basa sul diritto di ogni persona a educarsi e ad essere educata secondo le proprie convinzioni e sul correlativo diritto dei genitori di decidere dell’educazione e del genere di istruzione da dare ai loro figli minori. A sua volta, la libertà implica il diritto dei privati di istituire e gestire una scuola e comporta una serie di obblighi per lo Stato, tra cui quello di assicurare con adeguati finanziamenti la libertà di scelta. Altrimenti, o si vanifica tale libertà costringendo a frequentare scuole in contrasto con le proprie convinzioni, o si discriminano le famiglie che mandano i figli alle istituzioni private perché le si obbliga a pagare due volte le tasse relative all’istruzione». Ne discende che solo una piena parità economica, oltre che giuridica, tra tutti gli istituti scolastici, a prescindere dalla loro proprietà e gestione, può garantire una piena libertà di educazione. D’altra parte, l’obbligo per lo Stato di garantire l’istruzione ai propri cittadini non implica in nessun modo che esso debba anche gestire direttamente le strutture scolastiche. Sin dalla fine del secolo scorso in Europa si è assistito al passaggio dal cosiddetto Stato-gestore a quello che può essere definito uno Stato- garante promotore, che assicura l’erogazione del servizio, mediante l’impiego di risorse finanziarie pubbliche, senza doverlo per forza amministrare attraverso propri apparati, assumendo al più una funzione sussidiaria. La fine della statalizzazione della società e di un modello assistenziale di welfare state si è imposto a causa dell’insostenibilità finanziaria e delle evidenti inefficienze organizzative ed economiche ma ha al contempo liberato la creatività di mondi vitali presenti nella società con ricadute sociali positive. Per la scuola italiana, da questo punto di vista, si deve parlare purtroppo di una parità da compiere e di 25 anni passati invano.
Umberto Palaia
Presidente Nazionale

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Fonte: Avvenire