Famiglie in rete, così si vince la solitudine

Nell’«associarsi» una ricchezza e più forza per farsi sentire dalle istituzioni - di Francesco Belletti (direttore Centro internazionale studi famiglia)
Famiglie in rete, così si vince la solitudine

«I coniugi cristiani dipingono il grigio dello spazio pubblico riempiendolo con i colori della fraternità, della sensibilità sociale, della difesa delle persone fragili, della fede luminosa»

La famiglia è la prima e più potente medicina contro una delle peggiori malattie dell’uomo contemporaneo, la solitudine. Ma anche la famiglia, se rimane sola e chiusa al proprio interno, rischia di generare una ulteriore solitudine, pensandosi come “rifugio in un mondo senza cuore”, anziché come un luogo rigeneratore di buone relazioni con tutti. “Non è bene che la famiglia sia sola”, potremmo dire, parafrasando la sapienza biblica. La famiglia infatti potenzia la propria capacità di generare buone relazioni tra le persone al proprio interno aprendosi ad altre persone, non ponendosi come un territorio liberato dai confini chiusi, ma pensandosi come un ambito di “buona vita” da poter condividere con altre persone. È quanto molte famiglie stanno già concretamente realizzando con le esperienze di adozione nazionale e internazionale, accogliendo al proprio interno un bambino con l’affidamento eterofamiliare, facendosi carico dei propri parenti in difficoltà, dei propri genitori anziani, ma anche, più semplicemente e quotidianamente, accogliendo a casa propria, nel pomeriggio, più bambini per fare i compiti, o mantenendo relazioni di aiuto e di vicinato capaci di sostegno reciproco. Del resto già a partire dal primo Sinodo straordinario sulla famiglia, nel 2014, e poi nell’Amoris laetitia, si ricordava che spesso «le famiglie si sentono abbandonate per il disinteresse e la poca attenzione da parte delle istituzioni». Di fronte a questa situazione, le famiglie sono chiamate anche ad una nuova responsabilità di rappresentanza, di protesta, di pressione su chi ha responsabilità politiche.

Sembra difficile aggiungere qualcosa al profetico appello di san Giovanni Paolo II rivolto direttamente alle famiglie stesse nella Familiaris consortio: «Le famiglie devono crescere nella coscienza di essere “protagoniste” della cosiddetta “politica familiare” e assumersi la responsabilità di trasformare la società: diversamente le famiglie saranno le prime vittime di quei mali, che si sono limitate ad osservare con indifferenza». La famiglia cristiana è quindi chiamata a costruire non solo la Chiesa come “famiglia di famiglie”, ma anche ad umanizzare la “civitas” della comunità civile. È questo il valore aggiunto della famiglia nella costruzione del capitale sociale di una comunità, soprattutto nel suo costruirsi come soggetto aggregativo, in associazioni e reti interassociative che diventano interlocutori fondamentali per tutti gli altri attori sociali e per la comunità ecclesiale. Per questo è sempre più necessaria la costruzione di un soggetto sociale aggregativo (associazionismo, famiglie insieme), compito oggi molto più chiaro ed importante di ieri. Le famiglie possono cioè mettersi insieme ad altre famiglie “per fare meglio la propria famiglia, per fare più famiglia nella società”. Le famiglie associate diventano così soggetti sociali collettivi, che cominciano ad avere voce, che si mettono insieme per “produrre più famiglia” (servizi, relazioni, esperienze di condivisione e di auto mutuo aiuto), ma anche per contare di più, per organizzarsi, per fare azioni di pressione e di protesta.

Resta però un punto di domanda ineludibile: come agganciare la stragrande maggioranza delle famiglie, che rimangono senza connessioni con l’esterno? Perché nessuna famiglia è più fragile e vulnerabile di quella che si chiude in se stessa, e non riesce nemmeno a pensare di poter trovare aiuto, collaborazione e sostegno all’esterno. Le famiglie associate hanno capito che stare insieme è un tesoro prezioso: come fare a rendere accessibile questo tesoro al maggior numero possibile di famiglie? Una prima risposta si trova proprio nelle parole di Amoris laetitia: «I coniugi cristiani dipingono il grigio dello spazio pubblico riempiendolo con i colori della fraternità, della sensibilità sociale, della difesa delle persone fragili, della fede luminosa, della speranza attiva. La loro fecondità si allarga e si traduce in mille modi di rendere presente l’amore di Dio nella società».