LOGOS E VIRTUALE
Il messaggio del PresidenteCOME CAMBIANO I TEMPI DI LAVORO E DI CONSUMO PER LA FAMIGLIA ALLA LUCE DELLE INNOVAZIONI TECNOLOGICHE INFORMATICHE
La famiglia è forse l’istituzione sociale che maggiormente ha risentito l’impatto delle innovazioni tecnologiche avvenute nella sfera dell’informatica e delle telecomunicazioni. D’altra parte, essendo essa la società primaria, in cui si condensano e realizzano i progetti vitali delle persone, non potrebbe essere diversamente.
L’uso delle tecnologie digitali ha cambiato, soprattutto dopo la pandemia da Covid-19, i tempi di lavoro e di consumo, frammentandoli e permettendo che invadessero anche gli intervalli prima dedicati alla relazione con sé stessi e con gli altri. Sono cambiate anche le modalità di lavoro e quelle di apprendimento, le modalità di acquisto e di informazione. Tutto questo non poteva non avere degli effetti rilevanti sulla vita di genitori e figli e sul modo di relazionarsi tra di loro. Questo emerge chiaramente dai dibattiti all’interno delle scuole dove la domanda di formazione su questi temi dal punto di vista psico-pedagogico è sempre più presente tra le istanze dei genitori.
Ma c’è un altro sentimento che si avverte sottostante a questa necessità di sapere, di capire: è la paura che la tecnologia sia finita fuori controllo e rischi di disumanizzarci, prevalendo su di noi in maniera irreversibile. È un timore che da sempre accompagna il rapporto tra l’uomo e la tecnica. Esso è probabilmente dovuto alla percezione che la tecnica è in grado di autodeterminare da sé il paradigma etico rendendo lecito ciò che è tecnicamente realizzabile.
Da quando l’uomo decise di abbandonare la vita nomade di cacciatore-raccoglitore, a determinare la scelta fu essenzialmente la possibilità di avvalersi delle tecniche di coltivazione per approvvigionarsi di cibo (cereali soprattutto) in maniera sovrabbondante rispetto alla mera sussistenza.
E non è un caso se il racconto biblico narri la vicenda di Caino, agricoltore, e Abele, pastore, mettendo in evidenza la preferenza divina per il secondo. Sembra quasi vi sia uno stigma sull’individuo che cerca di emanciparsi mediante l’impiego della tecnica. Ed in parte se ne comprende il motivo. Se sono in grado di produrre da me il cibo che mi nutre, le medicine che mi curano, gli strumenti che riducono la fatica, perché dovrei aspettarmi qualcosa da Dio? Chi è Dio se non l’homo-faber, il costruttore, il grande architetto? E se posso coltivare porzioni sempre più grandi di terra e avere a disposizione grandi quantità di cibo perché dovrei limitarmi nel disboscare, diserbare, deviare i corsi dei fiumi, appianare i declivi di colline e montagne?
Senza rischiare di andare fuori tema, ciò che qui si vuol dire è che sempre la teknè ha impattato sulla percezione che l’uomo ha di sé, del mondo che lo circonda, degli altri e, infine, di Dio. Alle soglie del Novecento, secolo di grandi innovazioni e distruzioni inaudite, il filosofo maledetto Friederich Nietzsche, annuncia la morte di Dio perché ne intravede l’irrilevanza di fronte alle “magnifiche sorti e progressive” promesse dallo sviluppo tecnologico ed economico. Già un secolo fa la rivoluzione nei trasporti e nelle telecomunicazioni aveva reso più piccolo il mondo globalizzandolo.
A guidare questo processo c’erano già allora la produzione industriale e il commercio internazionale. Alla fine di quel secolo, definito dallo storico internet e dei voli superveloci intensifica il processo della cosiddetta globalizzazione in maniera inedita. Se da una parte ciò ha permesso l’emersione di larghi strati della popolazione mondiale da condizioni di fame e insussistenza, in occidente i più ne hanno subito soprattutto gli effetti nefasti, derivanti dalla delocalizzazione e dall’esclusione dei lavoratori meno istruiti e specializzati dalle nuove forme di lavoro e da livelli di reddito sufficienti alla piena autonomia economica.
Non a caso, si parla oggi di lavoratori poveri, quasi un ossimoro divenuto invece realtà concreta per molti. Ad esito di questo doloroso cambiamento sociale la diffidenza verso la tecnologia sembra aumentata. Non aiutano poi le numerose guerre in grado di portare distruzione e morte mediante l’uso di armi tecnologicamente sempre più raffinate ma non al punto di evitare per lo meno l’uccisione indiscriminata di civili. Tuttavia, l’uomo appare irriducibile al prevalere della tecnica, in particolare nella nostra cultura, che ha fatto della centralità della creatura umana nel disegno della creazione la sua matrice culturale distintiva. Nel breve scorcio di pace degli anni Trenta del Novecento, il filosofo cattolico Jacques Maritain propose la sua visione di “umanesimo integrale” basato sull’assunto che il bene comune e temporale deve rispettare e servire i fini sovra-temporali della persona umana. In questa visione di un umanesimo che non esclude Dio né tanto meno vi si oppone ma, al contrario, ne fa il suo centro, la persona è sempre fine e mai mezzo, diventando così argine ad un paradigma etico e morale che la snaturi.
Con questo numero monografico non intendiamo spingerci così in là nell’indagare il rapporto tra mondo digitale e vita reale, ma più semplicemente ci proponiamo di fornire alcune riflessioni ed evidenze scientifiche che siano strumento per leggere gli impatti del primo sul secondo, certi che il lavoro di ricerca debba continuare ed essere il più possibile diffuso come conoscenza a disposizione di tutti.
Ci auguriamo che possa servire anche da supporto alle tante iniziative di formazione e dibattito di cui i genitori sono spesso i primi promotori all’interno delle scuole.
Umberto Palaia
Presidente Nazionale AGeSC
Sfoglia direttamente Atempopieno qui: