«L’unica vera risposta alla paura del coronavirus è la fede in Dio che opera in noi»
Tavolacci: «Credere non significa colmare i nostri bisogni o eliminare la sofferenza ma fidarci come un bimbo in braccio a sua madre»«Siamo come bambini che si incamminano nel bosco delle emozioni». Inizia con queste parole l’ultima videoconferenza organizzate dall’Agesc grazie al prezioso contributo del dottor Massimiliano Tavolacci socio ed esperto motivatore.
Il Covid-19 ha lasciato qualcosa in noi, tra cui la paura: «Di cosa abbiamo paura adesso? Del contagio? Di morire? Della solitudine? Della povertà? Del cambiamento delle abitudini? Della restrizione della libertà? Del vuoto e della noia? Del mondo che non tornerà mai come prima? Ma la paura è motivo di “occupazione” o di “preoccupazione”» ha detto Tavolacci. «Nel primo caso mi informo, seleziono le fonti, riduco al minimo il chiasso mediatico – ha spiegato – ascolto pochissimo i notiziari: comprendo ciò che posso comprendere e per quello che non so o che non riesco a comprendere, non mi faccio angosciare e travolgere dall’incertezza e dall’imprevedibilità. Mi metto tranquillo e aspetto. Mi attengo a tutte le disposizioni la cui autorevolezza è certa e non derogo. Nel secondo caso mi preoccupo lasciandomi travolgere, cioè, dalla infodemia: tenderò a farmi divorare sia dalle informazioni pescate nei media totalmente a caso, ma poi agganciandoci ad esse il mio stato emotivo prevalente e dando precedenza alle sole notizie che confermano le mie paure, sia dalla paura che diventa angoscia (e le preoccupazioni aumentano a dismisura e vanno fuori controllo). Cosa ci aiuta a superare la paura? La fede».
La fede ha ripreso fiato, ritrovato voce e vigore, nei gesti semplici della preghiera di popolo, nell’ascolto interiore della Parola di Dio celebrato in case riscoperte come Chiesa domestica, nella comunicazione più intensa e forse anche controversa attraverso i social. Si è rinvigorita nell’impegno di continuare insieme il cammino, di condividere ansie e speranze, di portare insieme la sofferenza e di non dimenticare il valore del sorriso. La fede ha dato e trovato forza e coraggio nella generosità di chi si è speso a fianco dei più deboli; di chi
ha saputo vivere la cura dei gesti quotidiani con semplicità e speranza, mandando indietro l’angoscia e la tristezza; di chi ha lavorato senza sosta nell’assistenza ai malati; di chi ha continuato a lavorare, pur tra mille timori, per garantire i servizi essenziali per tutti; di chi si è messo in gioco nel proprio lavoro a servizio degli altri, apprendendo modi nuovi che non avrebbe mai immaginato di poter usare; di chi ha trovato forme nuove per far crescere la riflessione e il coraggio dei progetti.
La fede, ce lo ricorda il Vangelo, è l’opera che Dio chiede a noi di fare e prima ancora di essere, che ci apre alla salvezza. È un cammino in cui il Signore affianca i nostri passi, ascolta le nostre paure. Ci spinge a trovare le parole per esprimerle, standoci accanto, in un silenzio che può disorientare ma che occorre imparare ad ascoltare, e con la Sua presenza che sfugge alla presa dei nostri bisogni, apre i nostri occhi, e soprattutto il nostro cuore, all’incontro con Lui.
Perchè la fede è incontro. E, come ogni incontro autentico e profondo, non può essere reso funzionale ad altro. «A che cosa serve la fede?» è un’altra domanda che ha posto il dottor Tavolacci ai partecipanti alla video-conferenza. «A nulla, potremmo dire. Non serve a colmare i nostri bisogni, a dissolvere le nostre paure, non serve a trovare un principio di spiegazione o la causa di tutto, bene o male che sia, non serve ad eliminare la sofferenza. La fede non colma i nostri vuoti. Ma proprio per questo è molto di più: è opera di Dio in noi. Quando smetteremo di chiedere dei “segni”, quelli che noi vogliamo o ci aspetteremmo, e sapremo fidarci, “come un bimbo svezzato in braccio a sua madre”, allora si apriranno i nostri occhi e il nostro cuore al riconoscimento dei segni del Suo amore infinito, sorprendente e tenace. E allora, nel Suo nome, ossia in Lui e nel Suo amore, sapremo resistere nella fatica, perseverare nella corsa “tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,2)».
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