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Non c’è cittadinanza senza identità

Molti dei nostri genitori ci dicevano spesso che se volevamo avere successo nella vita dovevamo “diventare qualcuno”. Diventare qualcuno era citato come uno scopo buono della maturità, voleva dire uscire dall’anonimato di una massa indistinta di individui, per trovare un posto preciso, passare dall’essere nessuno all’essere qualcuno di riconoscibile.
In questi giorni è vivace la discussione pubblica su Nemo, vincitore dell’Eurovision Song Contest 2024. Su questa vicenda facciamo nostre alcune delle parole del professor Andrea Zhok (Associate Professor presso Università degli studi di Milano) pubblicate su FB.
Il vincitore intervistato dice infatti: "Rendermi conto della mia identità mi ha reso libero."
E qual è questa identità? Lo dice lui stesso, ovviamente: Nemo = Nessuno (in latino).
Il nome è stato scelto in modo mirato perché l'unica identità che qui rende liberi è l'assenza di identità. E questo è filosoficamente di grandissimo interesse, perché rende esplicito nel modo più chiaro un punto importante, che va al di là di quanto si è visto dell'Eurovision.
La libertà che viene assunta come l'unica vera libertà residua da questa "cultura generazionale" è la libertà negativa, cioè la libertà come possibilità di sottrarsi ad ogni pressione esterna.
Ma anche lo stesso "Essere Qualcuno" è percepito come una forma di pressione esterna.
Dunque, l'unica libertà realizzata è non essere nessuno. “
Come genitori impegnati nel mondo della scuola dei nostri figli, sentir parlare di un signor nessuno ci rimanda inevitabilmente all’eroe epico distruttore di città, Ulisse. Nei panni del signor nessuno riuscì a sfuggire alle fauci di Polifemo. Usò l’essere nessuno come stratagemma per salvare la sua vita e quella dei suoi compagni. Ma appena fu quasi certo della salvezza, il re di Itaca si prodigò nel far sapere al povero Polifemo chi fosse colui che lo aveva accecato e per esser certo che non ci fossero dubbi, declinò nome, cognome, indirizzo e professione.
Non c’è cittadinanza senza identità e la definizione di sessualità non binaria riconduce ancora al non essere piuttosto che all’essere. Questo dibattito reso spesso impossibile dal confronto di posizioni ideologiche, non ci appassiona affatto. Siamo invece appassionati dal presentare ai nostri figli modelli con identità precise e riconoscibili, non liquide, non disposte ad assumere di volta in volta la forma del loro contenitore.
Marina Frola
Reggente AGeSC